Baracchina di Piero

Piero Canovi “Peter” in tenuta da partigiano.

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Questa “baracchina” è stata per memorie individuali tramandate nel tempo, la sede di maniscalchi intenti alla ferratura di cavalli e muli, che trainavano lungo “lo Stradone di San Pellegrino” per anni così denominato, dopo la sua costruzione nella seconda metà del ‘700, ogni genere di cariaggi dalla e per la Città, attraverso il ponte sul torrente Crostolo.

Nei suoi pressi stazionavano permanentemente carrettieri, impegnati al trasporto di ghiaia e sabbia estratta con picco e badile dai “giarèin” dall’alveo del Crostolo, verso i cantieri edili nella Città ed a coadiuvare il transito dei convogli particolarmente pesanti, sull’erta del ponte, mediante “tiri” aggiuntivi di asinelli.

Alla fine della “Grande Guerra” vi ebbe sede un fabbro-ferraio, rinomato fra l’altro, per la sua abilità nel battere i cerchi di botti e tini per i vignaioli.

Dopo il Secondo Conflitto Mondiale, fu la volta di un meccanico da biciclette; Piero Canovi, che vi esercitò sino al 2006 la propria attività.

Di questo tratto di Storia della “baracchina” abbiamo memorie vissute e documentate, che ci consentono di definire il luogo, come un contesto di esercizio spontaneo di Cultura Popolare.

Piero, classe 1921, era un ragazzo proletario di San Pellegrino che come tanti suoi coetanei, in Città ed in Provincia, imparò il mestiere di operaio metalmeccanico, alle “Officine Reggiane”

Venne presto la guerra voluta dal Regime Fascista e fu inviato a combattere in Jugoslavia, dalla quale l’8 Settembre 1943, a seguito dell’Armistizio sottoscritto con l’Esercito Alleato e la rinuncia vergognosa del Re Vittorio Emanuele III a fronteggiare le proprie responsabilità verso la Nazione, con il disfacimento dell’Esercito Italiano, fuggì sbandato e dopo paurose peripezie rientrò a Reggio.

Piero non aveva mai prima aderito al Partito Nazionale Fascista, rifiutandone la tessera e non aderì neppure alla Repubblica Sociale Fascista; dal suo rientro dopo un breve periodo di latitanza, nei primi mesi del 1944, divenne Partigiano.

La scheda n. 7461 dell’A.N.P.I. di Reggio Emilia, riassume in termini essenziali, il contributo dato da “Peter” alla Resistenza:
– Ha operato in pianura da S.A.P. ed a Ligonchio.
– E’ appartenuto alle Unità “Gufi Neri” aggregato alla 26^ Brigata
– Ha partecipato all’attacco del Comando della Wermacht di Albinea ed ai presidi di Cerrè Marabino – Scandiano – Regnano

 

Piero Canovi al lavoro nella sua officina.

 

Di questa esperienza, non parlava frequentemente; non rifuggiva il confronto sui Valori dell’Antifascismo e dell’ideale Comunista che condivideva, però il suo carattere schivo e discreto, si apriva solo a quanti, non già la pensassero come lui, ma fossero schietti nella relazione personale e rispettosi del suo lavoro.

Ad un cliente che pretendesse con moine o forzature, un aggiustaggio in tempi e con modalità che non gli garbavano, rispondeva senza mezzi termini, che andasse a cercarsene un altro di meccanici; se n’è visti tanti di questi, allontanarsi dalla “baracchina” mesti e contrariati, a piedi con la bicicletta a mano.

Seppure conoscenti, l’approccio con Piero, non era mai scontato; il suo modo di accoglierti era generalmente severo, anche se ne traspariva lo spirito giocoso e l’avvertenza sottesa a “volare basso”.

Era un mago nella centratura di ruote e pedivelle; non pochi altri meccanici per risolvere casi ingarbugliati, si rivolgevano a lui avvicinandosi alla “baracchina” con studiata discrezione.

Già la “baracchina”! Era come è ora; pochi metri quadrati di superficie all’interno, una tettoia precaria sul lato verso il ponte, un gelso piantato a far ombra nel mezzogiorno.

Quanta gente potesse ospitare questo spazio, ingombro di telai, manubri, carter, camere ad aria, copertoni ed attrezzi del mestiere, è difficile a credersi. Vi si davano appuntamento in tutte le stagioni, ad ore diverse della giornata, uomini anziani pensionati, ma anche attivi, per parlare di vicende personali, dei fatti Reggiani titolati sulla stampa locale, sport, politica e donne; accompagnando il lavoro di Piero con facezie e sfottò, ricevendo da questi, con accenti alterni, uguale moneta.

Lo spirito delle discussioni era generalmente improntato sulla curiosità prudente rispetto alle grandi novità del tempo e da una forte vena di scetticismo verso i giovani. Ricorreva con frequenza il confronto tra questi e le loro esperienze esistenziali, di grama povertà, avare di gratificazioni e gli agi dei nuovi modi di stare al mondo, in una società “ricca” in rapidissima trasformazione. Una aggregazione con sensibilità politiche diverse ed un tratto comune di moralismo conservatore, che alimentava discussioni accalorate e allorquando divisive, presto ricomposte con ragionevole senso di convivenza.

A ritrovare nuovi e più saldi equilibri relazionali, contribuivano spesso spuntini improvvisati, con cartocci di ciccioli, un salame o un erbazzone, una torta di riso ed il vino portato da casa, soggetti a loro volta ad impegnative discussioni di merito e di metodo.

Già, la “baracchina”! Di certo non per prima, né unica, che in Città a ben conoscere quel tratto di Storia, quante ne potevi contare di equivalenti! Nella sua angusta ristrettezza soddisfaceva il bisogno di stare insieme, offrendo nella compagnia altrui l’opportunità di corrispondere interessi e sentimenti comuni, ampliare le conoscenze e vivere emozioni, svolgendo in sostanza la funzione di ritrovo sociale, anticipando ben più rilevanti sviluppi aggregativi di là di venire.

La “baracchina” ha precorso il “Centro Insieme” il “Buco Magico” la “Rosta” e tanti altri Centri Sociali oggi presenti nel nostro Territorio; un modello di cui oggi rimane il minuscolo contenitore oltre la cui porta malcerta, stanno il vecchio banco da lavoro e la morsa, i ganci per appendervi le bici, una vetrinetta nei cui stipi intrisi di morchia, trovi qualche residua rondella o coprulino da camera d’aria. Eppure se allo sguardo basta un amen per visitarla e ancor meno per constatarne l’esiguità dell’intorno, non si sfugge alla suggestione impegnativa della sua Memoria.

Una Memoria fatta di poco, testimone di umanità e cultura povera, opposta a quella celebrata e sontuosa che le sfilava innanzi allorché gli Este ed il loro seguito, si trasferivano dal Palazzo Ducale in Città, alla Reggia di Rivalta.

Quando una decina di anni orsono il Comune di Reggio aprì un confronto di idee per la riqualificazione di Viale Umberto, divenuto successivamente il Progetto “della Passeggiata Settecentesca” la convinzione rassegnata che la “baracchina” venisse demolita perché pregiudizievole all’abbellimento del luogo, era diffusa tra la gente di San Pellegrino.

Opportunamente la Circoscrizione del tempo ed i Rappresentanti Politici che la componevano, discussero ed approfondirono la criticità e concordemente ne riconobbero lo specifico Valore Memoriale rivendicandone la salvaguardia; la Amministrazione Comunale condivise pienamente e si diede non poco da fare, per superare le contrarietà opposte dalla Sopraintenza per la tutela Paesaggistica-Monumentale.

Il presente della “baracchina” è affidato alle Iniziative Sociali-Culturali promosse in luogo con l’accordo della Amministrazione Comunale, dall’ANPI di San Pellegrino e dalla Associazione FIAB-Tuttinbici. La ispirazione Popolare-Antifascista del Partigiano “Peter”e la sua professione di meccanico ciclista, svolta con abilità e passione per una vita, è così da ritenersi ben rappresentata e soprattutto garantita nella sua continuazione ideale e pratica; la possibilità per chiunque sia ispirato od interessato ad operare su uguali valori, Scuole, Associazioni, Gruppi di Volontariato, troverà nell’Anpi e TuttiInbici una disponibilità pronta ed interessata alla collaborazione.