La Resistenza nei musei: l’esperienza dell’Emilia-Romagna

Per quanto riguarda la diffusione di musei – ma anche di luoghi della memoria – legati all’esperienza della Resistenza e della Seconda guerra mondiale, l’Emilia-Romagna è forse il principale punto di riferimento in Italia per chi voglia conoscere queste vicende storiche. Un primato ancora più evidente in un quadro nazionale che vede la mancanza di un museo centrale della Resistenza, e un certo dinamismo quasi esclusivamente in ambito piemontese. Nel dopoguerra la larga partecipazione alla lotta partigiana e il consenso raccolto tra la popolazione hanno segnato i caratteri della nuova identità collettiva della regione emiliano-romagnola, con una forte identificazione nell’esperienza e nei valori dell’antifascismo e della Resistenza. E buona parte della nuova classe dirigente, soprattutto nelle amministrazioni comunali, proviene da questa esperienza di lotta.

In Emilia-Romagna, dunque, assistiamo ad un forte impegno di amministrazioni locali, partiti, organizzazioni sociali e associazionismo partigiano nella realizzazione di celebrazioni dei caduti e di ricorrenze di battaglie o eccidi, nell’edificazione di cippi e monumenti, nella titolazione di vie, piazze, edifici pubblici a eroi partigiani. Nonostante una iniziativa così diffusa, è solo all’inizio degli anni Settanta che nascono dei musei della Resistenza. Anche se il dibattito e le scelte che portano a queste realizzazioni si possono collocare nel decennio precedente, rimane comunque da mettere in rilievo la significativa distanza temporale che intercorre tra la fine della guerra e l’apertura di questi musei. Le ragioni di questa situazione possono essere ritrovate, in Emilia-Romagna come in Italia, nel conflitto politico e sociale che investe il nostro paese nel primo quindicennio dopo la Liberazione e che non consente l’assunzione della lotta partigiana come “mito fondatore” riconosciuto, nel rifiuto di logiche reducistiche da parte delle associazioni partigiane, nell’affermazione di una rete di istituti storici della Resistenza, che assorbono alcune delle funzioni che avrebbero dovuto svolgere questi musei, a partire dalla raccolta della documentazione relativa alla lotta partigiana.

Quest’ultima ragione è, tra quelle elencate, una delle più rilevanti. Per quanto riguarda la nostra regione, il primo istituto ad essere costituito è quello di Modena nel 1950. Nella prima metà degli anni Sessanta nascono gli istituti di Ravenna (1961), quello regionale di Bologna (1963), quello di Parma (1964), quello di Reggio Emilia (1965) e quello provinciale di Bologna (1966). Nel 1971 quelli di Rimini e di Forlì, e nel 1975 quello di Piacenza. Infine nel 1983 è stato costituito il Centro imolese documentazione resistenza antifascismo (CIDRA) e, due anni dopo, il Laboratorio nazionale per la didattica della storia, che ha sede presso l’Istituto regionale di Bologna. Da alcuni anni ha aderito alla rete anche l’Istituto di storia contemporanea di Ferrara, nato negli anni Settanta. Si tratta quindi di una rete di istituti radicata sul territorio regionale, che dispone di un notevole patrimonio documentario, oggi non più limitato alla lotta partigiana, ma che abbraccia l’intero secolo.

Se, come detto, solo negli anni Settanta sono stati realizzati alcuni musei della Resistenza, in realtà una funzione a metà strada tra luogo della memoria e museo – e su un piano sicuramente nazionale – è stata svolta fino a quell’epoca dalla casa della famiglia Cervi, a Gattatico di Reggio Emilia. Questo edificio rurale, casa dei sette fratelli Cervi fucilati dai fascisti, dall’immediato dopoguerra è meta di una sorta di “pellegrinaggio laico” da parte di tutti coloro che si riconoscono nella Resistenza e nella lotta antifascista. Singoli cittadini, gruppi e delegazioni si recano in visita alla casa, per incontrare papà Cervi e sentire il racconto della vita e della morte dei suoi eroici figli. Spesso portano in dono piccoli oggetti, di grande significato simbolico, non di rado realizzati personalmente da chi li dona. Ed è proprio per mettere in mostra tutti questi oggetti, e per incontrare i gruppi in visita, che nel 1964 viene realizzata una sala espositiva.

Nel 1975 il fondo agricolo dei Campi Rossi è acquistato dalla Provincia di Reggio Emilia e la casa si trasforma in un museo gestito dall’Istituto Alcide Cervi. Nel 1995, infine, è allestita una mostra permanente. Per perfezionare il percorso museale esistente, il museo viene completamente riallestito, ed è inaugurato nella sua nuova veste nell’aprile 2001. Il nuovo percorso museale si sviluppa focalizzando nella storia della famiglia Cervi, e nella storia dell’Emilia del Novecento, alcune fasi fondamentali, a cui sono dedicate le sale ricavate nel piano terreno. A conclusione della visita si può accedere alle stanze dove viveva la famiglia Cervi, ancora arredate con il mobilio originale. Attraverso la storia “esemplare” della famiglia Cervi sono così offerti percorsi di conoscenza più ampi della storia dell’Emilia e del paese, in una continua relazione tra locale e generale, tra privato e pubblico, tra memoria personale e memoria collettiva.

Agli inizi degli anni Sessanta viene avanzata l’idea di realizzare a Carpi (Modena) un Museo monumento al deportato. Una necessità affermata la prima volta in occasione di una manifestazione nazionale per la celebrazione della Resistenza nei campi di concentramento, promossa a Carpi l’8-9 dicembre 1955. La proposta viene poi lanciata ufficialmente nel corso di una manifestazione internazionale tenuta a Carpi il 10 dicembre 1961. Il comitato promotore, che comprende enti locali, associazioni partigiane e dei deportati e l’Istituto storico della resistenza, promuove un concorso nazionale, vinto dagli architetti Belgiojoso, Peressutti e Rogers, dello studio milanese BBPR e nel 1963 iniziano i lavori di ristrutturazione dell’ala del castello dei Pio destinata a museo. Nel 1973 il Museo è inaugurato nel corso di una manifestazione nazionale che vede la partecipazione di oltre quarantamila persone.

Il Museo si sviluppa attraverso tredici sale che, grazie alle scelte di allestimento, provocano un forte impatto emotivo: brani incisi alle pareti, selezionati dalle lettere dei condannati a morte della Resistenza, sono intervallati da graffiti opera di grandi pittori quali Longoni, Picasso, Guttuso, Cagli e Lιger. Nelle teche sono esposti pochi oggetti e alcune immagini fotografiche dei campi di sterminio, ordinati da Lica e Albe Steiner. Nell’ultima sala, la sala dei nomi, sulle pareti e sulle volte sono incisi i nomi di circa quindicimila italiani deportati nei lager tedeschi. All’esterno del museo, nel cortile del Palazzo dei Pio, sono collocate sedici stele alte sei metri, con incisi i nomi di alcuni dei campi di sterminio e di concentramento tedeschi.

Nel caso di Montefiorino, comune montano in provincia di Modena, l’idea del Museo, dedicato all’esperienza della prima zona libera realizzata nel Nord Italia, trova nuovi stimoli dopo l’assegnazione al Comune, nel 1972, della medaglia d’oro al valor militare. Nasce allora un comitato promotore modenese-reggiano, formato da enti locali, associazioni partigiane e istituti storici della Resistenza delle due province, che si mobilita per la realizzazione del museo, poi inaugurato nel 1979 in alcune sale della rocca medievale di Montefiorino. Nel 1994 viene realizzato un nuovo allestimento del Museo, seguito direttamente dall’Istituto storico della Resistenza di Modena. Nel 1996 il Museo è ampliato, con l’apertura di due nuove sale che hanno lo scopo di fornire le coordinate storiche generali sui caratteri della Resistenza italiana e sull’esperienza delle zone libere nel nord Italia. È stata recentemente inaugurata anche un’aula didattica.

A pochi chilometri da Montefiorino, a Monchio di Palagano, si trova il Memorial Santa Giulia, un complesso scultoreo formato da quattordici opere di artisti italiani e stranieri e dedicato alla Resistenza. A Monchio, Susano e Costrignano, allora frazioni di Montefiorino ed epicentro della Resistenza in montagna, il 18 marzo 1944 reparti tedeschi uccisero per rappresaglia 136 civili. A ricordo di questo importante episodio sono stati realizzati nel tempo alcuni monumenti. Nel 1950 viene eretto nella piazzetta di Monchio un cippo a ricordo delle vittime; in occasione del ventennale della Resistenza alcuni orfani della strage promuovono la costituzione di un parco e, nel 1984, di un imponente monumento, raffigurante un Cristo a braccia aperte, “invito al perdono, alla riconciliazione, alla pace e alla fratellanza di tutti i popoli”; nel 1994, all’interno del Parco della Resistenza, viene realizzato il Memorial Santa Giulia. Da qualche anno è attivo un Centro di accoglienza per i visitatori del parco, che promuove iniziative di valorizzazione storica e naturalistica della zona.

Nel 1981 è inaugurato ad Alfonsine (Ravenna) il Museo della battaglia del Senio, per iniziativa degli enti locali interessati, della Regione Emilia-Romagna e con la collaborazione dell’Ufficio storico dello Stato maggiore dell’Esercito italiano. Inizialmente l’impostazione data al Museo risponde all’esigenza di documentare l’avanzata alleata e la situazione militare del fronte del Senio tra il 1944 e il 1945, con un taglio quindi prevalentemente politico-militare. Nel 1985 viene allestita una mostra dal titolo “Partisan”, più attenta al contributo dato dalla Resistenza e al prezzo pagato dalla popolazione civile nei lunghi mesi di guerra. La mostra è poi diventata parte integrante del percorso museale, ma rimangono evidenti i diversi approcci che caratterizzano le due aree in cui è tuttora diviso il museo.

Il quadro sinora delineato, che ruota attorno ai quattro musei di Gattatico, Montefiorino, Carpi e Alfonsine, non esaurisce la realtà dei musei e dei luoghi della memoria dedicati alla Resistenza: una situazione alquanto “mossa”, frutto qualche volta di iniziative spontanee, o private, e comunque non sempre supportate da una adeguata capacità (o possibilità) di gestione e di iniziativa. A Neviano degli Arduini, in provincia di Parma, dagli anni Settanta è presente il Museo storico della Resistenza “S. Maneschi”, ospitato in un granaio di una casa vicina al paese, e dedicato alla Resistenza locale. È previsto ora il riallestimento del museo, che sarà inaugurato nella sua nuova veste nel luglio 2004. Inoltre sempre nel parmense è stato elaborato un progetto che prevede la realizzazione di sette itinerari nella zona montana, che collegano una cinquantina di siti storici legati alla lotta di liberazione.

A Modena, oltre ai musei di Montefiorino e Carpi, sono presenti il Museo del combattente di Modena e il Museo storico di Montese. Il museo modenese è nato nel 1995, per iniziativa della sezione provinciale dell’Associazione nazionale combattenti e reduci. È allestito nella Casa del mutilato, e mette a disposizione migliaia di fotografie, documenti e numerosi oggetti relativi alle battaglie combattute dal Risorgimento alla Seconda guerra mondiale. A Montese è stato allestito nel 1999 un museo storico che focalizza alcuni momenti della storia di quella parte dell’Appennino modenese. Una sala è dedicata alla Seconda guerra mondiale, in particolare all’esperienza del Corpo di spedizione brasiliano, che si trovò a combattere in quelle zone per lunghi mesi e fino alla Liberazione. Nei pressi del paese è stata recuperata un’area fortificata tedesca, ora visitabile e attrezzata con pannelli e materiali informativi.

Anche nell’area tra Bologna e la Romagna non mancano altre realtà museali o luoghi di memoria. A Castel del Rio il Museo della guerra raccoglie armi, divise e materiale bellico relativo ai combattimenti avvenuti nell’imolese e nel bolognese durante la seconda guerra mondiale, e sempre a Imola è visitabile una mostra permanente sulla Resistenza gestita dal CIDRA. L’Associazione partigiana di Faenza ha promosso una mostra permanente a Cà Malanca, dove si possono svolgere attività storiche e naturalistiche. A Lugo (Ravenna) è possibile visitare la Mostra permanente della Resistenza, allestita nel 1980 dall’ANPI locale. Nel Riminese erano presenti due musei della Linea Gotica: il primo a Montefiore Conca, aperto alla fine degli anni Ottanta da un collezionista locale, ed ora chiuso. Il secondo a Montescudo, dove sono raccontati gli eventi bellici riferiti al tratto orientale della Linea Gotica.

A Ferrara si trova il Museo del Risorgimento e della Resistenza, uno dei pochi musei del Risorgimento emiliano-romagnolo che hanno ampliato (dal 1958) le loro raccolte anche all’antifascismo e alla Resistenza. Per quanto riguarda Ferrara è stata approvata con legge nel 2003 l’istituzione del Museo nazionale della Shoah, che avrà sede in un nuovo edificio costruito nel parco Bassani. Non si conoscono altri particolari sul progetto, che vede impegnato in prima persona il Centro di documentazione ebraica di Milano; certamente però questa iniziativa – soprattutto se sarà capace di mettersi in relazione con le altre realtà della regione, in primo luogo con il Museo monumento al deportato politico e razziale di Carpi e con il campo di Fossoli – valorizzerà ulteriormente l’offerta culturale e turistica della nostra regione sui temi della Seconda guerra mondiale.

Da molti anni si discute della necessità di dare vita ad un Museo della Resistenza a Bologna, su impulso delle associazioni partigiane locali. Fino al 1962 documentazione relativa alla Resistenza era presente nel Museo civico del primo e secondo Risorgimento. Chiuso nel 1962, è stato riaperto nel 1975 con un diverso assetto espositivo che non giunge fino alla lotta di liberazione. Ha quindi ripreso corpo il proposito di dare vita ad un nuovo museo della Resistenza, che si è concretizzato in un primo progetto nel 1994, nell’apertura di un dibattito tra associazioni partigiane, istituti storici ed amministrazioni locali, e in primi studi di fattibilità. Recentemente l’amministrazione comunale di Bologna ha individuato nell’ex convento di San Mattia il luogo dove sorgerà il Museo.

In questi ultimi anni in Emilia-Romagna sono state messe in atto iniziative volte a valorizzare alcuni tra i più significativi luoghi della memoria. Tra i più rilevanti, il progetto “Linea Gotica”, il Parco storico di Monte Sole (Bologna), l’ex campo di Fossoli (Modena), Villa Emma di Nonantola (Modena). Il progetto “Linea Gotica”, nato per valorizzare l’area appenninica coinvolta dagli eventi bellici nella fase finale della Seconda guerra mondiale, è gestito dall’Istituto regionale per i beni artistici, culturali e naturali e finanziato dalla Regione Emilia-Romagna. Dal 1997 è iniziato un censimento delle tracce rimaste: dalle trincee e postazioni, ai luoghi di battaglia e di rappresaglia, dagli edifici utilizzati dai diversi eserciti ai monumenti, cippi, lapidi, cimiteri. Il censimento ha anche individuato le raccolte private di reperti bellici e sono state ricostruite le direttrici delle operazioni militari compiute dagli eserciti alleati. In collegamento a questo progetto, e grazie ai finanziamenti di “Bologna 2000”, sono state realizzate alcune iniziative pubbliche e inaugurato a Bologna un museo privato, che espone una corposa collezione di militaria. L’Istituto regionale per i beni culturali è poi partner di alcuni tra i più importanti musei europei nella realizzazione del progetto “Les chemins de la mιmoire”, che ha l’obiettivo di censire i luoghi di memoria europei più importanti relativi alla Prima e alla Seconda guerra mondiale, e alla Guerra civile spagnola.

Per quanto riguarda il Parco storico di Monte Sole, questo occupa le zone dell’Appennino bolognese protagoniste dell’eccidio compiuto da reparti tedeschi tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944, che provocò la morte di 770 persone. Queste zone dopo la guerra furono abbandonate per decenni, e solo nel 1961 venne inaugurato il Sacrario di Marzabotto. Con la nascita del Parco storico, istituito con legge regionale nel 1989, si intende innanzitutto conservare i resti dei luoghi dell’eccidio. È stato poi realizzato un laboratorio per l’educazione e la formazione alla pace, che ha sede in una casa ristrutturata all’interno del Parco.

A sei chilometri da Carpi si trova l’ex campo di Fossoli, il principale campo di transito per il trasferimento dei deportati politici e razziali italiani verso i campi di concentramento e di sterminio tedeschi. Nel dopoguerra il campo, nato nel 1942 per i prigionieri inglesi catturati in Africa settentrionale, fu prima utilizzato dalla comunità cattolica di Nomadelfia, e poi come campo per i profughi giuliani e dalmati. Solo nel 1984 il campo, in stato di abbandono dai primi anni Sessanta, è stato ceduto dallo Stato al Comune di Carpi. Inizialmente era stato elaborato un progetto per realizzare un parco pubblico dedicato alla memoria della deportazione, poi si è affermata l’esigenza di un intervento conservativo che mantenesse il campo così com’era. Nel 1996 è stata costituita la Fondazione ex Campo Fossoli, che ha avuto incarico dal Comune di Carpi di occuparsi anche della gestione del Museo monumento al deportato. È stata recentemente recuperata una baracca del campo, che sarà attrezzata nei prossimi mesi come mostra permanente e centro di accoglienza e attività didattiche.

In provincia di Modena, oltre al sito dell’ex campo di Fossoli, un altro importante luogo della memoria è Villa Emma di Nonantola, dove soggiornarono tra il luglio 1942 e il settembre 1943 due gruppi di ragazzi ebrei di varia nazionalità, provenienti dalla Jugoslavia. Dopo l’occupazione tedesca dell’Italia dell’8 settembre 1943 i ragazzi riuscirono tutti a mettersi in salvo in Svizzera. Da poche settimane è nata la Fondazione Villa Emma – Ragazzi ebrei salvati, che gestirà il Centro per la pace e l’intercultura con sede in una casa colonica nelle vicinanze della villa (di proprietà privata), dove sarà allestita un’aula didattica-museo sulla storia di Villa Emma, e messi a disposizione spazi per attività culturali.

Richiamando quanto riportato all’inizio sulla mancanza di un museo nazionale della Resistenza, è indubbio che nel caso dell’Emilia-Romagna ci si trovi di fronte, anche se non in modo formalizzato, ad un sistema regionale dei musei della Resistenza e della Seconda guerra mondiale, fatto di realtà non solo non sovrapponibili, ma certamente integrabili tra loro. Mancando ad oggi forme di riconoscimento istituzionale a livello regionale questi musei sono gestiti esclusivamente da enti locali o da privati, ed esposti dunque a momenti di difficoltà finanziaria e gestionale; ciò non consente ovviamente la valorizzazione delle loro potenzialità di sistema.

Nonostante le difficoltà gestionali ed operative, e la lentezza complessiva nel realizzare percorsi di collaborazione e di coordinamento tra le diverse realtà museali, è indubbio che alcuni problemi e alcuni indirizzi sono comuni tra tutti questi musei. Il primo dato da mettere in evidenza è l’impegno nella valorizzazione del rapporto tra museo e territorio, con la predisposizione di itinerari e sentieri per conoscere le zone dove sono avvenuti combattimenti, stragi, ecc., o che mantengono visibili i segni e le tracce di questo passato. Altro aspetto comune ai quattro musei è la forte attenzione, maturata in questi ultimi anni, nei confronti dell’attività didattica, che si intreccia inevitabilmente con la proiezione dei musei verso il territorio. Infatti i materiali didattici e i percorsi proposti non si esauriscono più esclusivamente all’interno del museo, ma si muovono nell’ambiente circostante, sia attraverso laboratori che intrecciano storia e geografia, sia con le uscite delle classi fuori dal museo.

Infine si va sempre più consolidando il rapporto tra Musei e istituti culturali, in particolare – ma non solo – con gli istituti storici della Resistenza, perchι questo consente di valorizzare il rapporto tra il materiale esposto e gli archivi e le biblioteche specializzate, ma anche di potenziare la capacità progettuale e culturale dei musei. Questa esperienza di collaborazione tra musei storici, luoghi della memoria della Seconda guerra mondiale e istituti culturali prefigura un sistema integrato che merita davvero una maggiore sensibilità da parte di tutte le istituzioni e una più concreta attenzione da parte di tutti gli operatori impegnati in queste realtà, per migliorare sempre più le forme di collegamento e di coordinamento esistenti. E l’occasione non può che essere quella delle iniziative legate al Sessantesimo anniversario della Liberazione. (Claudio Silingardi)

Dallo speciale della rivista dell’Istituto dei Beni culturali della Regione Emilia Romagna, un dossier curato da Patrizia Tamassia. Pubblicato in versione elettronica il giorno 18/06/2004, e in versione cartacea in “IBC”, XII, 2004, 2.