Rappresaglia Villa Bagno
Nel marzo 1945 era in piena ripresa tutta la Resistenza reggiana. La via Emilia era un obiettivo militare di primo piano e per questo su essa premevano le formazioni partigiane, anche nel tratto Masone-Rubiera. Se la guerriglia doveva avere un peso nell’economia generale della guerra, si doveva colpire là dove il nemico era vulnerabile e nel modo che procurava danno maggiore. Obbiettivo principale di questi attacchi era la Via Emilia, la più importante arteria del retrofronte di cui si servivano i tedeschi. Attacchi a singole vetture o ad autocolonne erano cosa del tutto normale. Quasi ogni notte su questa strada, a est o a ovest di Reggio il silenzio veniva lacerato da improvvise sparatorie delle armi automatiche o dagli scoppi sulle mine. Panico o nervosismo si diffondevano perciò tra file nemiche; gli occupanti infatti non erano ormai più sicuri nemmeno nel cuore della zona da essi occupata. A queste azioni di carattere prettamente militare, si rispondeva spesso col terrore nell’intento di arrestare col sangue di innocenti ostaggi, l’impeto dei combattenti della libertà. Talvolta erano partigiani ad essere fucilati. E in tal modo si veniva a cementare col sacrificio comune quella fraternità tra partigiani e popolo che costituiva la maggiore garanzia di invincibilità del movimento di Liberazione.
I nemici sfoggiavano ufficialmente la loro sicurezza, ma l’azione partigiana minacciava seriamente la regolarità dei collegamenti e dei trasporti. Accecati dall’odio per i colpi subiti, i nemici rispondevano spesso con le rappresaglie, come era avvenuto al Ponte del Quaresimo (10 fucilati) a Cadè (21 fucilati) a Calerno (20 fucilati). Ma essi non conoscevano la reazione che gli eccidi suscitavano. Quello di colpire persone che erano estranee ai fatti, appariva una infamia che offendeva il senso di giustizia comune. Pertanto sempre nuovi giovani accorrevano nelle file partigiane, animati dalla volontà di affrettare la fine degli orrori. Per parte dei partigiani, d’altro canto, non c’era scelta. Se la guerriglia doveva avere peso nella economia generale della Guerra, bisognava colpire laddove il nemico era vulnerabile e nei modi che procuravano danno maggiore.
La Via Emilia era un obbiettivo militare di primo piano e precisamente per questo su essa premevano le formazioni partigiane, anche nel tratto Masone – Rubiera. Proprio in seguito a queste azioni il Comando tedesco ordinò una ennesima rappresaglia. Vennero prelevati dalle carceri dei “Servi” 5 ostaggi che furono fucilati dai militi della brigata nera alle 5.30 del 20 marzo tra Masone e Bagno.
Il comunicato tedesco apparso su il “Solco fascista” dello stesso giorno annunciò la rappresaglia per l’uccisione di un tedesco e il ferimento di vari altri nel corso di ” un vile attacco notturno di elementi fuori legge imboscati “. A parte il linguaggio spregiativo che stonava in bocca a chi non esitava di fronte a nessuno dei più atroci crimini, i tedeschi dunque accusavano il colpo. Come al solito facevano vittime innocenti. Caddero in questa nuova rappresaglia:
Ibatici Nino da Casina
Monzani Paolo da Castelnuovo Rangone
Mondaini Antonello da Rimini
Franchini Benedetto da Fiorano
Colombini Ermanno da Formigine
I metodi crudeli non mutavano però le cose. La Resistenza si fece sempre più forte ed aggressiva. I tedeschi vennero battuti anche in campo aperto a Fabbrico e a Ca Marastoni. Vennero liberati alla fine di marzo il paese di Rio Saliceto e il 10 aprile quello di Ciano. Infine nuovi combattimenti si ebbero a Botteghe di Albinea, a Fosdondo ed altrove. Ancor prima dell’arrivo degli alleati, i tedeschi e i fascisti furono posti in grave difficoltà. La Provincia fu in gran parte liberata dalle forze partigiane.