Ricordiamoci di: …….

66° della morte di Andrea Zavaroni “Marco”
 
Era il 18 novembre 1944 quando il Comandante di Distaccamento Zavaroni Andrea “Marco”, morì in seguito alle sevizie ad opera dei fascisti. Era un giovane dalla spiccata intelligenza, un fervente antifascista e strenuo difensore dei principi di libertà, sensibilissimo alle miserie ed alle privazioni subite dal nostro popolo, tanto che già nei primi giorni del novembre 1944 aderì alla Resistenza. “Marco” venne catturato il 15 novembre, mentre rientrava da un’azione di disarmo di un tedesco insieme all’amico Baraldi e dopo aver depositato il mitra in una casa in località Malcantone, da una famiglia di sostenitori della Resistenza. Circa duecento metri dopo il bivio per Cognento e separatosi dall’amico, diretto verso l’abitazione dei genitori, “Marco” venne bersagliato dagli spari dei tedeschi e colpito ad una spalla. Iniziò a correre per i campi, ma la ferita presto affievolì le sue forze, unitamente alla corsa di un feroce cane messogli alle calcagna dai fascisti, così venne catturato ed immediatamente tradotto al comando di Villa Lombardini. Sotto il dolore e la sofferenza delle torture, “Marco” non fece un solo nome, sapeva i nascondigli delle armi, sapeva le sedi dei comandi, conosceva tutto lo schema organizzativo della Resistenza, ma non disse nulla. Il coraggio, la forza d’animo e l’abnegazione di questo ragazzo, doti evidentemente sconosciute ai suoi aguzzini, si rivelarono talmente inopportabili, al punto da levargli occhi e lingua. Vani furono i tentativi di liberarlo, scambiandolo con altri prigionieri nemici, infatti dopo appena tre giorni dalla cattura, Zavaroni morì per le torture inferte dai suoi carnefici. Il corpo del povero “Marco” venne rinvenuto soltanto nei giorni della Liberazione, sepolto in una concimaia a Novellara, con ancora evidenti i segni tremendi delle sevizie e delle bestiali atrocità che inflissero al suo corpo, che nulla valsero a piegare l’uomo e l’idea per la quale aveva combattuto.
La Resistenza, con la morte di Andrea Zavaroni, subì una grave perdita, tuttavia non scalfì l’impegno dei compagni che, memori dell’ardimento dell’amico partigiano, assunsero il solenne impegno a portare a compimento i valori della Resistenza per i quali “Marco” aveva dato tutto, indicando quale fosse la tempra dei resistenti che si battevano per la libertà del popolo.
 
DARIO – SEMPRE CON NOI
Sono passati cinque anni dalla scomparsa di Giuseppe Carretti, per 25 anni straordinario protagonista, in qualità di presidente, dell’ANPI di Reggio.
Partigiano con il nome di battaglia “Dario”, vice comandante di battaglione della 145° Brigata Garibaldi “Franco Casoli”, Carretti avversò il fascismo fin dalla fanciullezza, ritenendolo sempre il vero responsabile delle condizioni di spaventosa miseria in cui viveva, oltre alla sua famiglia, anche tutto il popolo italiano e dello stato di grandi privazioni in cui era cresciuto fino ai vent’anni. Per questo, con animo puro ed in piena consapevolezza, insieme ad altri giovani, il 15 aprile 1944 salì in montagna aderendo alla lotta armata di Liberazione: “mi sarei sentito un vigliacco se non fossi diventato un partigiano”, ebbe a dire in una bella intervista autobiografica nell’estate del 2004. Membro del Comitato Federale del P.C.I. di Reggio Emilia, Carretti divenne Sindaco di Cadelbosco Sopra nell’autunno del 1960, ruolo che ricoprì, succedendo al fratello Ermes, fino al 1976.
Uomo di grande equilibrio e di spiccata intelligenza, fermamente convinto in quegli ideali di giustizia, di pace e di libertà che animarono la Resistenza, Carretti fin dal periodo della clandestinità ebbe ben presenti quelli che dovevano diventare i perenni processi di sviluppo, di emancipazione e di progresso del nostro popolo martoriato dal fascismo, valori che non mancò mai di praticare durante tutta la sua vita ed in special modo durante il suo mandato da Sindaco. “Ho sempre creduto nello spirito patriottico e nella volontà di lotta del nostro popolo, così come non mi ha mai sfiorato il timore che il contributo di sacrificio, di sangue e di pensiero della Resistenza potesse diventare vano, perchè il miracolo della Resistenza è il fatto più grande che sia stato realizzato nella storia moderna d’Italia”. Un’ esistenza spesa bene, con coraggio e con indomita forza di volontà, Carretti è stato un uomo che ha fatto dei valori civili e sociali, la sua ragione di vita, merce rara al giorno d’oggi: Ciao Dario sei sempre con noi!
 
A 30 ANNI DALLA MORTE DI  AMENDOLA
 
Primogenito del ministro liberale antifascista e deputato salernitano Giovanni Amendola, Giorgio Amendola è costretto ad affrontare molto giovane la morte del padre, avvenuta in una clinica francese nel 1926 in seguito alle percosse subite durante un’aggressione fascista. La dolorosa vicenda del padre lo porterà nel 1929, nell’anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, ad iscriversi al Partito comunista italiano, per quella che definirà sempre una “scelta di vita” e che mai sconfesserà. Comandante e responsabile della struttura militare durante la Resistenza, Amendola fu il membro designato dal PCI per la giunta militare antifascista del CLN e nel marzo del 1944 fu l’ideatore dell’azione militare partigiana di via Rasella, eseguita da partigiani comunisti dei GAP della Resistenza romana.

Politico di grande rigore morale e convinto sostenitore del pensiero comunista, Amendola non mancherà mai, durante la vita, di difendere strenuamente i diritti delle classi operaie e lavoratrici da una parte e la necessità di creare convergenze politiche con le altre forze di sinistra per incidere maggiormente sulla politica dominante dell’epoca fortemente conservatrice. La sua devozione alla causa operaia lo porterà anche ad avere qualche dissenso con il movimento studentesco che si sviluppa durante il ’68. Giorgio Amendola muore a Roma il 5 giugno 1980, a causa di una malattia, all’età di 73 anni.
“Mio nonno materno – ricorda Amendola in una delle ultime interviste –  era un mazziniano combattente della Repubblica romana, mio nonno paterno fu garibaldino, mio padre un democratico antifascista. Io sono comunista. Mazziniani, garibaldini, antifascisti, comunisti: questa è la storia d’Italia, questa la via del progresso del nostro paese!”.

Dopo 30 anni quanta inascoltata attualità. (Alessandro Fontanesi)