Da “NUOVO RISORGIMENTO DEL 10/05/1954”
Avuto luogo alle ore 10 dell’8 maggio, di fronte alle officine Lombardini, la celebrazione dello sciopero condotto dalle maestranze della fabbrica il 1° maggio 1944 in piena occupazione tedesca l’episodio merita di essere ricordato perché si lega direttamente alla Resistenza reggiana e lo faremo avvalendoci degli elementi forniti dall’oratore ufficiale delle celebrazioni Franco Iotti e di altri attinti direttamente fra i protagonisti. Fu nel febbraio 1944 che un apposito comitato segreto di agitazione composto dai partiti Comunisti e Socialista lanciò le direttive per un grande sciopero generale da attuarsi nella Lombardia, in Piemonte e nella Liguria.
In un manifesto clandestino del tempo, mentre si precisavano le rivendicazioni di ordine immediato che si possono riassumere nella richiesta di “un effettivo e reale aumento dei salari, in un effettivo e reale aumento delle razioni alimentari e nell’effettivo pagamento delle ratifiche già concesse”, si indicavano anche gli scopi politici della agitazione. Rivolgendosi ai lavoratori delle tre regioni il Comitato di agitazione diceva che bisognava che le fabbriche non producessero più per la guerra contro l’Italia ma per le necessità del popolo, che bisognava altresì moltiplicare la forza delle brigate partigiane e organizzare la Resistenza nelle fabbriche, nelle campagne, nelle caserme, per l’insurrezione armata nazionale, ed affermare il diritto del lavoro ed avere una parte decisiva nel governo del paese.
La parola d’ordine per lo sciopero fu data più tardi ed il 1° marzo ebbero luogo le prime interruzioni di lavoro nelle ragioni suddette. Il movimento si estese sempre più ed interessò masse sempre più vaste di lavoratori, sì da preoccupare profondamente i comandi fascisti e nazisti e da indurli a misure repressive. Nella nostra provincia mancava il nucleo industriale più forte, quello costituito dalle “Reggiane”, che erano state bombardate nel gennaio precedente. Di clamoroso vi fu soltanto l’episodio di Montecavolo, mentre nel resto della provincia vi fu un’imponente azione di propaganda fatta di scritte murali e manifesti. Le masse lavoratrici, sebbene impreparate all’azione immediata, non restavano sorde all’appello e la propaganda patriotica doveva avere il suo effetto più tardi.
Alcuni operai della Lombardini prepararono lo sciopero con riunioni tenute nelle campagne specialmente durante gli allarmi aerei; ma una opportuna opera di convinzione permise di assicurare l’appoggio di un sempre maggiore numero di operai. Non si trattava di uno nazionale che avrebbe dovuto disorientare le forze nazifasciste ma di uno sciopero prettamente locale e per di più da effettuarsi proprio il 1° maggio.
Non si proponevano pertanto grandi risultati, ma si voleva soltanto far comprendere di quanto potesse la forza dei lavoratori e dare una prova di ostilità al nazifascismo. Alle ore 10 si effettuò la fermata. I dirigenti della fabbrica, sgomenti e preoccupati di fronte a tale gravissima decisione, tentarono invano di dissuadere gli operai. Dopo un quarto d’ora squadre di fascisti della G.N.R. e della polizia repubblichina entravano in fabbrica ed imponevano la ripresa del lavoro procedendo all’arresto di una decina di operai.
Negli uffici la sbirraglia, intanto, interrogava malmenandolo, un ragazzetto, nella speranza di strappargli notizie utili a rintracciare i “colpevoli dello sciopero”. Ma nulla emerse di preciso, sicché gli arrestati vennero rilasciati la sera. Questa fu la prima manifestazione organizzata dagli operai della Lombardini sotto il terrore tedesco e fascista. Essi continuarono in seguito la loro attività clandestina a stretto contatto coi patrioti che fornivano aiuti di ogni genere.
Nell’officina infatti venivano fabbricati di nascosto pezzi di arma chiodi a tre punte ecc. Più tardi, gli operai davano un’altra prova della loro compattezza e della loro ostilità al nazifascismo, opponendosi al tentativo dei dirigenti della fabbrica di limitare ad una mezz’ora soltanto l’intervallo meridiano. Nel refettorio, scaduto l’orario prescritto essi rimanevano fermi ai loro posti rifiutandosi di riprendere il lavoro. Il direttore, certo Otto Oberhauser diede 2 minuti di tempo alle maestranze per decidere, dopo di che, a suo dire, avrebbe fatto intervenire la forza. Ma nessuno si mosse. A nulla valsero le intimidazioni e le inchieste.
I dirigenti dovettero concedere agli operai un periodo più lungo nell’ intervallo meridiano. Anche questa volta si trattava di giuste esigenze, ma si trattava anche di non lasciarsi mettere i piedi in testa, di difendere la propria dignità, di affermare la propria solidarietà con tutti coloro che sul fronte della forza armata, stavano combattendo con lo stesso nemico.