Resistenza a Guastalla

Feb 10, 2020

La resistenza a Guastalla iniziò col movimento spontaneo di civili che, dopo l’armistizio del ’43, aiutarono tutti quei soldati italiani che lasciati senza ordini chiari da parte dell’esercito regio italiano furono deportati in Germania (i cosiddetti IMI). Questi ragazzi provenienti da tutta Italia, spesso rastrellati ancora in caserma durante l’addestramento, venivano trasportati tramite linee ferroviarie verso centri di raccolta (nel caso di Reggio, Mantova) dove venivano smistati e deportati in vari campi di lavoro in Germania, Austria e Polonia. Nel caso di Reggio Emilia il passaggio era obbligato per Guastalla e la popolazione, impressionata per questo traffico terribile, cercò in tutti i modi di aiutare i soldati, dal semplice invio di un’ultima lettera alla famiglia del ragazzo fino all’accoglienza in casa propria di disertori riusciti fortunosamente a scappare, ragazzi che dovevano essere nascosti e vestiti con abiti civili, e in quel periodo anche trovare dei semplici indumenti rappresentava uno sforzo enorme per i contadini della bassa reggiana.

Questa esperienza segnò profondamente i guastallesi, che non videro mai di buon occhio i repubblichini, considerati responsabili di un prolungamento inutile di una guerra già consumata e pagata a caro prezzo non solo dai soldati italiani ma anche dalla popolazione civile. Questo atteggiamento di sfiducia della popolazione verso la Repubblica di Salò trovò un riscontro nella difficoltà che i nazifascisti incontrarono nella riorganizzazione degli organi di amministrazione del territorio. In particolare si cercò di arruolare un numero più grande possibile di giovani per evitare che questi si unissero a gruppi chiamati “sovversivi” nel gergo fascista, cioè gruppi antifascisti clandestini.

Questi giovani venivano poi inquadrati nei “Battaglioni Genio”, unità di lavoro più che squadre vere e proprie che venivano addestrate dai tedeschi sulle rive del Po per poi essere inviati sul fronte della linea gotica a costruire infrastrutture militari come fortificazioni, tunnel di collegamento, fortini, ecc. Essendo però questi arruolamenti obbligatori, il malcontento tra i soldati-lavoratori era già alto ancor prima di iniziare l’addestramento. Regolarmente, infatti, durante lo spostamento verso il fronte, questi battaglioni si sbandavano e molti disertori finivano ad ingrossare le file dei partigiani che già alla fine del ‘43 iniziavano ad organizzarsi nell’Appennino reggiano. Un esempio di ex repubblichino passato al fronte partigiano è quello di Quarto Camurri, giovane di Guastalla che, dopo aver disertato dal I Battaglione della 79° Legione, si unisce alla “Banda Cervi” ed aiuta la famiglia Cervi nella sua attività di accoglienza dei disertori e dei partigiani feriti. Il suo impegno per assistere i partigiani nella lotta di resistenza accanto alla famiglia Cervi continuerà fino alla fine, che arriva per lui come per i fratelli Cervi con la fucilazione del 28 dicembre 1943.

A Guastalla inoltre abbiamo testimonianze da rapporti nazifascisti, di episodi di disordine creati proprio dai membri del 130° “Battaglione Genio” in stanza nel paese. Questi giovani infatti erano più difficili da gestire di quanto non si rivelassero utili per il controllo fascista del territorio. Nel marzo del ’44 proprio i soldati del battaglione si scontrarono, arrivando quasi a battersi, con le “Fiamme bianche”, squadre di giovanissimi fascisti dotati persino di armi da fuoco. Queste fiamme erano conosciute per la prepotenza con cui trattavano i guastallesi, anche donne o anziani, quindi, quando questi sfilarono inquadrate davanti alla caserma del 130° Battaglione, i soldati iniziarono a fischiare e a lanciare pane in segno di disprezzo. Il Colonnello Onofaro, riferendo l’episodio, esprime preoccupazione per la propaganda comunista svolta all’interno dei reparti. Infatti, molti soldati si arruolavano col consenso delle organizzazioni clandestine per svolgere propaganda antifascista, propaganda che si inseriva in un ambiente già fuori controllo da parte fascista, con assenze ingiustificate all’ordine del giorno e disordine quotidiano nelle caserme. Un esempio di questo antifascismo nei Battaglioni viene registrato il 14 marzo, quando dei soldati furono sorpresi a cantare “Bandiera rossa” e denunciati al tribunale militare.

Oltre a questa diffidenza generale nei confronti dei fascisti, ci furono delle vere e proprie formazioni partigiane, poi organizzate sotto la 77° Brigata SAP, che operarono attivamente a Guastalla. Già nel maggio ’44 avviene il primo assalto al posto d’avvistamento aereo di San Rocco di Guastalla, ripetuto poi nel settembre di quell’anno, quando vengono anche interrotte le linee telefoniche da Reggio. Nell’ottobre ’44 inoltre, i fascisti si preparano ad evacuare i familiari proprio a Guastalla per farli rifugiare oltre il Po, visto che la guerra sembra ormai agli sgoccioli. Nel novembre i sappisti continuano a sabotare le linee ferroviarie che collegano Guastalla al resto della provincia, mentre alcuni gappisti rubano e uccidono bestiame del raduno per sfamare la popolazione. Queste distribuzioni di cibo, di fatto rubato alla popolazione per le scorte fasciste, rafforzano il legame tra i civili e i partigiani.

Lungo tutto il 1944 si susseguono vari attacchi partigiani ad automezzi o nemici o sabotaggi alle linee di comunicazione. Quest’attività viene combattuta da parte fascista con un’intensa attività di spionaggio seguita da fucilazioni. Il 17 dicembre per esempio, la Brigata Nera, che contava 30 uomini di stanza a Guastalla, uccidono in Piazza del Duomo, il sappista Franco Filippini. Il 29 invece, furono fucilati a S. Rocco altri due partigiani ed una staffetta fu catturata e torturata per ottenere informazioni. Ma i partigiani non possono farsi intimorire, devono continuare questa guerra fino in fondo. Il 13 marzo 1945 la squadra sabotatori “Demonio” fece saltare tre ponti ferroviari, di cui due, il Baccanello sul Crostolo e il Pietra sulla Fuma, collegavano Guastalla rispettivamente a Parma e a Reggio, creando enormi disagi alla comunicazione tra i reparti nemici.

 

Veicoli tedeschi abbandonati lungo la sponda meridionale del fiume Po, Museo della Seconda Guerra Mondiale del fiume Po, Felonica (MN)

Ma il periodo più difficile per i guastallesi fu la vigilia della Liberazione. Infatti già dal 22 aprile, dopo lo sfondamento alleato della linea gotica, migliaia di tedeschi sfilarono per Guastalla diretti verso il Po. Le indicazioni dei Comandi partigiani dettero ai SAP il compito di organizzare le ultime offensive, chiesero la massima partecipazione delle staffette, indispensabili per collegare i SAP alle squadre mobili mandate sull’Appennino per occupare i centri abitati ormai liberi, e disposero un sabotaggio ininterrotto delle vie di comunicazione, chiamando in causa anche la popolazione civile, “un ostacolo ad ogni metro” dalla circolare inviata dalla 76° Brigata SAP. Il 23 migliaia di uomini si concentravano sulla riva del fiume tra Boretto e Guastalla, cercando invano, con mezzi di fortuna o addirittura a nuoto, di attraversare il Po. Infatti, non esisteva alcun mezzo per attraversare il fiume dal momento che il ponte di Guastalla era stato distrutto. Nel panico generale le truppe in ritirata si sbandavano e ognuno cercava di attraversare il fiume, tra i gorghi, la corrente e il fuoco incrociato di partigiani reggiani e mantovani, centinaia di tedeschi perirono nel Po. Dal 24 aprile cominciò la resa in massa e Guastalla fu uno dei 5 Capoluoghi di mandamento, dove furono trattenuti i prigionieri, poi giudicati dalla Commissione Provinciale di giustizia.

Dopo la Liberazione si iniziò a calcolare i danni: l’ultimo sforzo partigiano costò la vita a 98 uomini e 101 furono i feriti. Inoltre la viabilità ferroviaria nell’estate ’45 costituiva un problema sia per le distruzioni sia per la mancanza di carburante, e Guastalla rimase isolata. La ricostruzione fu lunga e difficile, soprattutto la ripresa di una vita civile regolare dopo quasi 6 anni di guerra totale. Il Comando partigiano provò a ricostruire un quadro istituzionale democratico attraverso la nomina di organi provvisori che affiancassero le giunte comunali, in attesa delle elezioni. In settembre furono istituiti il Consiglio Provinciale e i primi cinque Consigli Comunali, tra cui proprio quello di Guastalla, organi composti da rappresentanze di tutti i partiti antifascisti che avevano partecipato alla lotta per la Liberazione.

 

Bibliografia:

  • G. Franzini, Storia della Resistenza Reggiana, Anpi Reggio Emilia, 2014, Reggio Emilia
  • A. Canovi e M. Fincardi, Guastalla in chiaroscuro, Aemilia University Press, 2011, Reggio Emilia

 

Link utili :

Museo della Seconda Guerra Mondiale del fiume Po

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