Zelina Rossi “Anna”

Per Zelina, una medaglia a due ruote.

Tuttinbici-FIAB intitola alla staffetta partigiana Zelina Rossi (1923- 1971) il tratto di pista ciclabile che da Reggio, passando per via Gramsci, si dirige a Bagnolo, suo paese di nascita. E’ una medaglia due ruote, un ricordo riconoscente anche per le altre staffette, ardite come lei, e a volte più sfortunate: cadute, arrestate, torturate. Pedalando in pace, anzi, in Pace, su questa pista, le ragazze d’oggi, capelli al vento, col cuor contento, come dice la canzone, volgeranno il pensiero alla generazione che aveva vent’anni mezzo secolo fa. Tutti i giovani vorrebbero rivoltare il mondo. Zelina l’ha fatto davvero, si è opposta in prima persona ai soprusi che l’Italia subiva. Proviamo a immaginarla. Zelina pedala e pedala, ce la mette tutta, in due giorni va da Bagnolo a Milano. Ha vent’anni, è una bella ragazza, ma non è facile capirlo, infagottata com’è. Non ci sono ancora giacche a vento attillate e firmate, nel crudo inverno del ’44, che si accanisce contro la Resistenza. Per come son messe le strade, a fare un viaggio così ci vuole una bella spinta. Le trasferte di Zelina, carica di propaganda, bozze del giornale clandestino “Noi Donne” e disposizioni del CLN, si ripetono quattro volte, e non sono gite. La ragazza incappa in posti di blocco delle Brigate Nere, fa la finta tonta e scampa all’arresto; a Piacenza passa il Po con l’aiuto di traghettatori nemici. L’ultima pedalata per Milano è quella del 21 marzo del 45, sotto la pioggia: Zelina è una bomba, ha addosso le disposizioni del Comitato di Liberazione dell’Alta Italia per l’insurrezione finale. Zelina fa anche parte delle SAP, le squadre di azione patriottica che attaccano postazioni nemiche, abbattono pali del telefono e ammazzano animali per sfamare la popolazione. Scrive “W l’8 marzo” e attacca manifesti sotto il naso delle SS che stazionano all’osteria. Di notte, dietro le siepi o in mezzo al granoturco, organizza le attiviste dei Gruppi di Difesa della Donna, che raccolgono roba per i partigiani alla macchia. Lavorare con le donne per Zelina è naturale: la sua famiglia è un collettivo femminista, tre sorelle e una madre, con papà Rossi che non fa il padre padrone, figurarsi, in una povera famiglia di mezzadri della Bassa, dove le idee del socialismo, dell’anticlericalismo e poi del comunismo si mangiano col pane. La storia finisce bene, con l’amore tra la staffetta Zelina e il partigiano Carlo Salsi, commissario della 147 brigata Garibaldi. Non si nutre di adrenalina e di azioni in comune, come viene da pensare. E’ piuttosto un colpo di fulmine di primavera, a Liberazione avvenuta. Un incontro casuale in bicicletta in una stradina di campagna tra una bella ragazza non più infagottata contro il freddo e un partigiano ormai disarmato. Nessun nemico in vista. (i.r.)