Resistenza a Busana

Busana è una località occupata fin dall’antichità grazie alla sua posizione strategica che domina la valle del Secchia. Sarà proprio la sua posizione a determinare il suo grande coinvolgimento nella guerra di Liberazione, come tutta la zona dell’odierno Comune del Ventasso. Anche se la Resistenza nasce in pianura, infatti, già dagli ultimi mesi del ’43 in queste zone, e in particolare a Cervarezza, alcuni montanari si iniziano ad organizzare tra loro e prendono contatto con i dirigenti della Resistenza che intanto andava organizzandosi e strutturandosi a Reggio e nella provincia.

Nei primi mesi del 1944 si ingrossano le file delle forze montane grazie ai fuggiaschi della pianura e ai disertori che dopo l’armistizio avevano trovato rifugio nelle case di latitanza della pianura e che ora si aggregano ai gruppi partigiani. Così nel ’44 sull’appennino reggiano si organizzano le forze e la prima importante azione che interessa Busana è l’attacco al presidio delle GNR, uno dei più importanti per la posizione del paese, e dei più longevi in quanto si stabilirà a Busana un importante presidio tedesco più avanti, nell’autunno, durante la ripresa del controllo nazifascista della zona, dopo un’estate di vittorie partigiane.

L’attacco è progettato il 13 aprile dalla squadra comandata dal partigiano William, probabilmente si tratta di Caffagni Ivano, comandante di distaccamento della 285° Brigata SAP, operante nell’appennino. Si prevedeva di prendere di sorpresa il posto di avvistamento aereo e in seguito di attaccare il presidio della Guardia nazionale. La notte del 20 aprile si effettua il piano; il posto d’avvistamento aereo cade subito grazie alla confusione generata dal lancio di bombe a mano. I 5 militari presenti si arrendono, vengono perquisiti e lasciati in libertà. L’attacco alla caserma non ha lo stesso esito invece: i militi si barricano dentro alla caserma e dopo vari tentativi di sfondare il portone i partigiani devono desistere per il sopraggiungere dell’alba. Quest’operazione, sebbene non sia stata un pieno successo, crea scompiglio tra le GNR tanto che queste organizzano un rastrellamento due giorni dopo, tuttavia senza esito.

La zona di Busana e Cervarezza è quindi strettamente controllata dai nazifascisti per la visuale sulla valle del secchia e, soprattutto, per la vicinanza alla Strada Statale 63, su cui i partigiani tentano immediatamente di prendere il controllo. La notte del 5 giugno i distaccamenti “Piccinini” e “Cervi” attaccano la caserma fascista a Cervarezza, i militi si arrendono e vengono perquisiti. I combattenti riescono a recuperare una decina di fucili e tre mitra, bottino molto prezioso se si considera lo scarso equipaggiamento delle formazioni partigiane. La sera del giorno dopo arriva sempre a Cervarezza una corriera che trasporta alcuni ufficiali tra cui il Tenente Brino Ferretti. Grazie ad una soffiata di sua cugina, Agata Pallai, i partigiani riescono a catturarlo. Onofaro, il console della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, chiede lo scambio di prigionieri che porterà alla liberazione del Prof. Marconi e altri tre partigiani in cambio del Tenente Ferretti, architettata da Agata Pallai, Didimo Ferrari e il Comando Unico di zona. Per questo episodio vedi Villa Cella.

Arriva la stessa sera un’altra corriera, anche stavolta i militi presenti sono catturati e perquisiti, poi lasciati in libertà dietro la promessa di disertare. Trattengono solo 5 ostaggi, i più pericolosi. Tra essi c’è il segretario del fascio di Cervarezza, l’avvocato Guglielmo Vezzosi, il quale si ribella durante la perquisizione di casa sua e viene ucciso.

Questi due attacchi trovarono il supporto degli abitanti di Cervarezza, contenti della cattura dei militi fascisti. Questo e altri episodi nella zona, compresi gli attacchi ai presidi di Carpineti, Baiso, Collagna, Ligonchio e Ramiseto, dimostrò la debolezza dei fascisti di fronte a queste squadre partigiane che ormai nel giugno ’44 hanno già una certa organizzazione dall’alto. Infatti nel giugno ’44 inizierà la conquista partigiana di una parte della zona montana che per l’estate rimarrà quasi una zona franca, in quanto il morale dei fascisti era sceso per i vari attacchi subiti e per la consapevolezza di non essere sostenuti dalla popolazione. A dimostrazione della sfiducia che regnava in campo fascista si possono trovare vari episodi di presidi caduti senza resistenza. Spesso, infatti, i presidi cadevano senza armi, i militi si arrendevano ancor prima del conflitto o addirittura erano i Comandanti a consegnare il presidio. Cause che contribuiscono a questa debolezza fascista, oltre al morale, sono gli attriti che si creano tra militi fedeli a Mussolini e Carabinieri, monarchici; e il numero massiccio di diserzioni per evitare la Germania non solo a seguito dell’8 settembre ma lungo tutto il corso della guerra di liberazione.

Solo nell’autunno, quando i fascisti verranno affiancati e a volte sostituiti dai tedeschi, il nemico riuscì a riprendere il controllo della zona, che tenne fino all’aprile dell’anno successivo.

Il 10 giugno però i fascisti riprendono il controllo della odierna SS 63 nel punto dello Sparavalle, dal nome rivelatore, uno dei punti strategici per la difesa delle due valli. In seguito allo scioglimento dei reparti alcuni militi si recheranno a Cervarezza per saccheggiare le case dei civili. Nell’opporsi a questa pratica tristemente comune, un vecchio abitante perde la vita lo stesso giorno.

Per approfondire vedi 1944 – Giugno 10 – Battaglia dello Sparavalle.

Una decina di giorni dopo una pattuglia della squadra “Bedeschi” attacca una macchina nemica, ferendo dei soldati, mentre la pattuglia “Casoli” riesce a catturare un milite e un carabiniere.

A fine giugno vengono avvistate truppe tedesche che muovono verso l’appennino. Andranno a sostituire le forze fasciste, non in grado di affrontare la pressione delle forze partigiane. Inoltre in quel periodo il fronte si stava avvicinando pericolosamente agli appennini, per i nemici la Strada Statale 63 diventava fondamentale per garantire i rifornimenti.

Il 28 giugno alpini e fascisti lasciano i loro presidi a Cervarezza e Collagna, mentre sulla Statale il distaccamento “Dughetti” ferma un ambulanza e cattura il un tenente medico. Infatti ancora nell’estate del ’44 la rete di cura per i partigiani feriti non poteva contare su un numero sufficiente di medici per coprire tutta la zona montana. Un gruppo di alpini cattura allora degli ostaggi civili, minacciando di fucilarli per chiederne il rilascio. Lo scambio avviene: i partigiani liberano il tenente e un altro prigioniero in cambio della liberazione degli ostaggi, cioè tutta la popolazione maschile di Cervarezza, dai 16 ai 60 anni.

Intanto la pressione nemica sulla SS 63 si fa sempre più intensa, in particolare sul tratto Busana – Ligonchio, tanto che già il 10 luglio la Statale è stabilmente presidiata dai tedeschi, coadiuvati dai fascisti. Due giorni dopo i partigiani rispondono: il distaccamento “Celere”, sotto gli ordini di Merlo, attacca una colonna tedesca nel tratto Cervarezza – Collagna; due automezzi anfibi vanno distrutti, registrando perdite da parte nemica imprecisate. L’attacco ha successo, solo un partigiano viene ferito, e il distaccamento riesce a tornare intatto dalla missione.

Seguno giorni di stallo. Ma nelle fila nemiche si lavora all’organizzazione di una grande azione. Il 30 luglio inizia una grande offensiva tedesca, con uno schieramento continuo da Collagna a Carpineti. Tra le 6 e le 7 del mattino inizia il fuoco dell’artiglieria pesante che colpisce varie località normalmente frequentate dai partigiani, tra cui Marmoreto di Busana. Inoltre, i nemici mandano in marcia e fanterie lungo le strade secondarie, tra cui il tratto Busana – Ligonchio.

Il primo agosto il distaccamento “Casini” e otto uomini del distaccamento “Bixio” attaccano tra Collagna e Busana un automezzo che trasportava 10 soldati tedeschi. Di questi, sei muoiono e due restano feriti nell’attacco e i partigiani riuscirono a recuperare due mitra, due fucili e altro equipaggiamento.

In questo periodo poi si registrano vari rastrellamenti tra cui un rastrellamento perpetrato dai fascisti l’11 agosto a Busana.

Con l’arrivo ei tedeschi la lotta in montagna si paralizza. Ma quando Firenze viene liberata i tedeschi si spostano sull’Adriatico e la Statale 63 rimane presidiata solo dai fascisti. L’Appennino quindi torna quasi completamente in mano partigiana. I fascisti tentano di riprendere il controllo della zona tramite la nomina di ispettori straordinari. Ma questi ispettori, senza potere reale, non suscitano i cambiamento sperato, anzi: i commissari civili dei comuni montani, compreso Busana, riprendono le attività per istituire amministrazioni comunali democratiche. Il 23 agosto viene poi istituito il Comitato di Liberazione Nazionale Zona Montana.

Tedeschi del presidio di Busana osservano la zona partigiana

A inizio settembre, nell’ambito di questa riorganizzazione politica e amministrativa, viene eletto il Consiglio Comunale di Busana, insieme ad altri. E il 12 settembre esce un comunicato che annuncia le elezioni nei comuni riorganizzati, per i consigli amministrativi.

Nel frattempo però la copertura medica va ancora più in crisi per la fuga dei due medici di Collagna e Busana, lasciando solo un medico a Ramiseto in tutta la zona del Ventasso.

Proseguendo l’organizzazione massiccia delle forze democratiche, viene istituito il Battaglione della Montagna che si stabilisce nella zona di Busana. Quando i tedeschi organizzano una marcia verso il comune, però, il Battaglione deve muoversi verso nord, non essendo in grado di affrontare una battaglia in campo aperto.

A fine settembre del 1944 ricominciano gli attacchi alla Statale 63: il 27 il distaccamento “Piccinini” fa un’imboscata ad una colonna tedesca di 14 carri, tra Busana e Cervarezza. Riescono a uccidere tutti gli animali trasportati oltre a causare 30 morti e altri feriti tra i nemici. A seguito di questa sorprendente sortita, il 3 ottobre, il giornale fascista del tempo, il Solco Fascista, dà finalmente notizia dello scioglimento dei Fasci Repubblicani dell’Appennino, in realtà già abbandonati da giugno, tra cui anche quelli di Busana e Cervarezza.

La zona montana è ormai saldamente sotto il controllo dei partigiani. Le attività di sabotaggio e le imboscate aumentano ad un ritmo sempre più elevato.

L’8 ottobre un gruppo di sabotatori russi, organizzai nella squadra “Cane Azzurro”, minano la Statale tra Cervarezza e Busana, causando un morto e un ferito. Il 17 ottobre quattro partigiani del distaccamento “Pigoni” attaccano, sempre in zona, dodici tedeschi, dei quali quattro vengono uccisi e altri rimangono feriti. Quattro giorni dopo, il 21, il comandante Monti scrive al Maggiore Johnson, ufficiale americano incaricato dagli alleati di tenere rapporti con le zone occupate oltre la linea gotica. Monti lamenta gravi problemi nel sistema di invio dei rifornimenti adottato dagli americani, registra infatti che molti dei lanci aerei sono andati perduti perché effettuati in zone non sicure e soprattutto chiede di aumentare i rifornimenti per i sabotaggi, in quanto dall’arrivo dei tedeschi molte infrastrutture danneggiate erano state ricostruite. In particolare un segno di allarme è la piena ripresa del traffico nel tratto Cerreto Busana.

Nel frattempo sul fronte civile si registrano sviluppi: il 24 ottobre 1944 Prato compila una relazione al PCI in cui informa dell’organizzazione ormai completa dei comuni di Busana, Ciano, Vetto, Ramiseto, Collagna, Villa Minozzo e Toano.

Ma sul fronte militare a inizio novembre si ha un rallentamento della guerriglia per la difficoltà dei partigiani della montagna di operare in pieno clima invernale e con la scarsità di rifornimenti registrata da Monti. Ma si cerca comunque di organizzare il maggior numero possibile di azioni. Il primo novembre la “Cane Azzurro” mina la SS 63 vicino a Busana, ferendo però oltre che un tedesco anche un civile. Un’altra mina scoppia il 5 vicino a Nismozza sotto un automezzo tedesco ma l’esito rimane imprecisato.

In dicembre la situazione si evolve e in tre mesi, fino a febbraio, si registra una massiccia attività partigiana anche in montagna. Il 4 dicembre una pattuglia della 26° Brigata Garibaldi compie un attacco di disturbo al presidio nazista di Busana. Il 19 il distaccamento “Giglioli” (26° Brg.) attacca un autocarro in transito a Cervarezza registrando morti e feriti tra i tedeschi a bordo. Il 5 febbraio un altro distaccamento della 26° Brg., il “Bedeschi”, in collaborazione con dei sabotatori della “Cane Azzurro”, depongono mine lungo la Statale e riescono a distruggere un altro automezzo tedesco e a ferire dei nazisti con lo scoppio di due mine diverse. Il 21 febbraio gli stessi uomini feriscono altri tre tedeschi.

Questi attacchi, però, non scalfiscono neanche la facciata di quella rigida struttura che rendeva possibile l’occupazione nemica della zona. I tedeschi crearono molti presidi, capillarmente distribuiti sul territorio, con una particolare concentrazione lungo la Strada Statale 63, arteria dell’Appennino reggiano e via di comunicazione principale col fronte. Oggi si può ricostruire la presenza di 1.900 tedeschi solo nell’Appennino reggiano, in quel periodo.

L’11 marzo si tiene la riunione del Comando Unico e del CNL (Comitato di Liberazione Nazionale), dove la zona appenninica viene divisa in aree d’influenza delle squadre S.A.P., cinque settori dipendenti dal Comando S.A.P. (Busana rientra nel terzo). Le S.A.P. (Squadre d’Azione Patriottica) presenti nell’Appennino erano squadre ausiliarie, disarmate, che si occupavano dei servizi di supporto o di piccoli sabotaggi come per esempio quelli alle linee telefoniche.

A marzo, con l’inizio della primavera, riprende anche la guerriglia. Lo stesso 11 marzo il distaccamento “Bedeschi” si reca a Cervarezza per un’azione di disturbo contro il presidio tedesco ma l’attacco viene sospeso in quanto un compagno, Giuseppe Notari Meri, viene ucciso per errore. Il 16 il distaccamento “Zambonini”, inquadrato nella 145° Brg. Garibaldi, compie un altro attacco di disturbo, questa volta a Busana in un altro presidio tedesco, la violenta reazione, però, impedisce ai partigiani di portare a termine l’azione.

Il 27 marzo però i partigiani della 145° Brg. Garibaldi riprovano a prendere il controllo del presidio tedesco di Busana, con il prezioso aiuto di informatori nelle stesse fila dei tedeschi. La notte, dei partigiani vestiti da soldati della Wehrmacht vengono fatti entrare nel presidio dalla squadra partigiana Mietec infiltrata nell’esercito tedesco, sotto controllo di un Comandante polacco. Grazie al loro appoggio, i partigiani riescono a eliminare le sentinelle, poste a guardia nelle scuderie, nel centro del paese e ad aprirsi così il passaggio verso il presidio, insediatosi nell’edificio della colonia. L’operazione è eseguita da 60 uomini della 145° Brg. Aiutati da 40 uomini della 26°, della squadra “Cane Azzurro” e anche del Battaglione Alleato. Un impiego così massiccio di forze fa comprendere l’importanza vitale di questa operazione, organizzata diligentemente, fin nei minimi dettagli. Per mantenere il silenzio, per esempio, usarono scarpe avvolte nella tela. Riescono a catturare anche le sentinelle a guardia della colonia, che li conducono fin sotto il portone. In quel momento però uno dei due ostaggi urla l’allarme. I partigiani sono costretti a ucciderli ma i tedeschi ormai sono all’erta e iniziano a sparare. Senza l’effetto sorpresa ai resistenti non rimane altro che ritirarsi, insieme ai sodati infiltrati compromessi, e dichiarare il fallimento anche di questo secondo tentativo. Questa operazione, fallita per un soffio, turba i tedeschi, che infatti procedono subito dopo all’interramento di mine tutt’intorno Busana per impedire l’accesso al paese, oltre che alla fortificazione dei loro accantonamenti.

Un distaccamento di Garibaldini della 145° Brigata, aggregato al Battaglione Alleato

Quest’operazione di rinforzamento difensivo del presidio tedesco a Busana si colloca all’interno un periodo di preparativi da parte nemica nella zona per affrontare l’avanzata del fronte da sud e la ripresa della guerriglia partigiana, come l’attacco contemporaneo a Busana, Aquabona e Collagna del 4 aprile, che, staccando le linee telefoniche e minando le strade, riesce a creare il panico tra i nazi-fascisti e provoca 14 feriti e 7 morti.

Il 2 era già avvenuto, a Talada, uno scontro tra il secondo battaglione della 145° Brg. Garibaldi e i nazi-fascisti partiti da Cervarezza dove cade anche il partigiano Devis, Mentore Pagani.

Il 9 aprile però i tedeschi rinforzano ulteriormente il presidio di Busana e spostano tutte le munizioni a Cervarezza. In questo presidio si stanziano gli ufficiali le truppe tecniche tedesche, vengono per studiare la centrale elettrica di Ligonchio e per trovare il modo migliore per distruggerla.

Il 14 aprile i tedeschi nella zona del Ventasso si ritirano verso Gatta, causando più danni possibili al loro passaggio, ma il presidio di Busana rimane in sede e resiste contro ai partigiani fino all’arrivo dell’aviazione americana. Chiesto tre giorni, prima questo attacco aereo non è solo in tragico ritardo, ma arriva anche in un momento inopportuno, quando ormai la maggior parte dei tedeschi era già in ritirata a Gatta, zona non sorvolata dagli americani, che, mitragliando da bassa quota, ostacolano i partigiani in lotta e causano gravi danni ai paesi sorvolati e alla popolazione civile.

La battaglia si intensifica sempre di più lungo tutto il mese di aprile: il 17 il distaccamento “Zambonini” della 145° Brg. Garibaldi opera un attacco di disturbo al presidio nazi-fascista di Busana causando un morto e un ferito; il 18 il distaccamento “Fontanesi” della stessa Brigata riesce a minare la Statale 63 nella zona tra Busana, Cervarezza e Nismozza, ma non sappiamo nulla sull’esito di queste bombe.

Gli ultimi giorni di aprile iniziano operazioni di lotta in campo aperto.

La ritirata tedesca ormai è un flusso continuo di truppe che scappano dal fronte; le Brg. 144° e 145°, in accordo con le squadre di Parma bloccano la Statale 63: all’altezza di Busana viene bloccata una compagnia di Alpini, la “Monterosa” e inizia uno scontro a fuoco.

Il 21 aprile, a quattro giorni dalla Liberazione, alcuni distaccamenti della 144° Brg. (Amendola, Cervi, Piccinini, Davoli) collaborando con le S.A.P. di Ramiseto minano la Sparavalle e aprono il fuoco contro Cervarezza e Busana, dove erano presenti ancora tedeschi, dei quali ben 9 perdono la vita in quest’azione, che permette anche di recuperare armi, preziose per i giorni a venire. La perfetta organizzazione e l’ardore di quest’attacco però vedono comunque la morte di due partigiani: Alberto Montanari Fulmine e Adolfo Tedeschi Balilla.

Lo stesso giorno dalla riva destra del Secchia uomini della 145° Brg., usando armi pesanti, riescono a distruggere la postazione di un cannone nemico a Busana e colpiscono anche la Statale, che verrà occupata lo stesso giorno.

Il 22 due squadre partigiane vengono mandate nella zona tra Busana e lo Sparavalle per ostacolare la ritirata nemica di notte.

All’alba del 23 iniziano i grandi attacchi ai centri abitati che sanciscono definitivamente la liberazione della montagna: la 145° Brg. manda varie squadre del secondo Battaglione a Cervarezza, dove il distaccamento “Davoli” della 144° Brg. aveva già aperto il fuoco contro le colonne nemiche che procedevano verso nord, e un distaccamento invece va a Busana.

Cervarezza è occupata dai distaccamenti “Davoli” e “Amendola” della 144° e una squadra del secondo Battaglione della 145° Brg., che continuano i combattimenti contro le truppe in ritirata e vengono distrutti due autocarri. Busana viene occupata invece da distaccamenti della 145° Brg., che riescono anche a catturare 4 prigionieri e a riallacciare le comunicazioni telefoniche con Ligonchio.

Le squadre partigiane combattono tutto il giorno per incalzare i nemici in ritirata, che si trovano nella morsa della resistenza: a sud ci sono i partigiani che dagli appennini spingono sempre più velocemente la ritirata e a nord, in pianura, ci sono continui atti di sabotaggio e azioni in campo aperto per rendere il più difficile possibile il raggiungimento del Po.

In montagna la maggior parte dei paesi sono ormai occupati. Qui si procede al rastrellamento, aiutati anche dalla popolazione civile, per recuperare eventuali sbandati da imprigionare o materiale bellico da mettere al sicuro. L’aviazione alleata, con l’intenso mitragliamento ostacola spesso l’azione partigiana, facendo anche qualche vittima, e distrugge molte strade fondamentali per la comunicazione tra paesi liberati, che stendono lenzuola bianche sui tetti, per non essere presi di mira.

La Strada Statale 63 viene occupata interamente il 23 aprile 1945. La montagna è ormai libera.

I partigiani chiudono alla ritirata tedesca uno dei principali sbocchi alla pianura emiliana, e avendo messo in sicurezza gli appennini possono scendere in pianura, dove li aspettano i due giorni di combattimento più intensi dell’intera lotta di Liberazione.

 

Bibliografia:

  • Storia della Resistenza Reggiana di Guerrino Franzini
  • Storie di montagna di Guerrino Franzini