1944 – Giugno 24 – Eccidio della Bettola

In seguito al fallito tentativo di far saltare il ponte in muratura nei pressi della Bettola, da parte della Squadra Sabotatori, un automezzo tedesco proveniente da Casina sopraggiunse sul posto per impedire ai partigiani di compiere la definitiva distruzione. Ne seguì uno scontro a fuoco durante il quale morirono diversi tedeschi ed i partigiani Enrico Cavicchioni, Pasquino Pigoni, Guerrino Orlandini. La reazione dei tedeschi fu immediata. Il combattimento era avvenuto verso le 22,30 del 23 giugno 1944 e già alle 23,15 partirono da Casina, autotrasportati, circa 50 dei 140 uomini del presidio della gendarmeria tedesca. La rappresaglia iniziò verso le ore 1 del giorno 24.
I tedeschi circondarono cautamente alcune case situate nei pressi del ponte e fecero irruzione nella casa di Liborio Prati e Felicita Prandi, due vecchi di 70 e 74 anni, li uccisero insieme alla loro figlia Marianna. La casa venne poi depredata ed incendiata. La bambina undicenne Liliana Del monte si gettò da una finestra per salvarsi, ma fu ripresa e gettata in una stalla che bruciava, riuscendo però miracolosamente a sopravvivere. A questo punto i nazisti passarono alla locanda della Bettola, dove per mezzo di un interprete, si fecero aprire la porta dall’oste Romeo Beneventi. Fecero uscire le donne, i bambini e gli uomini, radunandoli in parte nel garage dell’albergo ed in parte dietro la casa.
I primi furono mitragliati, poi ricoperti da tronchi d’albero, cosparsi di benzina e dati alle fiamme per incenerirne i cadaveri. Coloro che invece erano stati radunati dietro al grosso fabbricato, vennero trucidati a bastonate ed a colpi di pistola, quindi gettati anch’essi nel rogo insieme agli altri.
Tra loro fu arso vivo Piero Varini, un bimbo di appena 18 mesi.
La furia omicida dei tedeschi, non ancora sufficientemente appagata, investì anche due giovanissime donne, prima violentate, poi uccise ed infine arse nel fuoco. Riuscirono a salvarsi l’oste, alcuni carrettieri nascosti in cantina ed un giovane renitente, rifugiatosi nel solaio.
Alla fine furono 32 i morti, in gran parte impiegati sfollati dalla città, braccianti, carrettieri di passaggio, studenti e scolaretti in tenera età, uomini e donne di età compresa tra i 5 ed i 74 anni.
Se a Cervarolo i tedeschi avevano massacrato soltanto gli uomini, alla Bettola non venne risparmiato nessuno, nonostante la popolazione fosse assolutamente estranea allo scontro con i partigiani avvenuto nella notte. La gendarmeria tedesca ebbe come unica intenzione quella di uccidere quante più persone possibili, riuscendo persino a superare in efferatezza persino le torme selvagge dei paracadutisti della divisione “Goering”.

Cronologia completa dell’eccidio

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Il monumento

Trattasi di un’opera realizzata da Paolo Gallerani, Luciano Aguzzoli e Nino Squarza. Il monumento consta di una longilinea struttura in ferro collocata in uno spazio lineare in cemento in grado di contenere le spinte della collina a cui l’intero monumento è addossato. Si tratta di un effetto ascensionale provocato dall’espansione tra la struttura contratta del cemento e le geometrie dei volumi in ferro. Nella base il monumento consta di una vasca d’acqua la cui potenza vitale conferisce alla struttura metallica un’ulteriore valenza simbolica. Dalla vasca inoltre s’innalza una colonna a sezione circolare. Si tratta di una serie di elementi astratti in grado di evocare la tragedia ma soprattutto di segnare fisicamente nel tempo uno spazio, un luogo della memoria. Commissionato dall’Amministrazione comunale di Vezzano nel 1985, la costruzione del monumento fu possibile grazie al concorso di enti pubblici e singoli cittadini.


Gruppo  “SOCCORSO ROSSO”

Il 15 ottobre 1944 una ventina di giovani di Vezzano fuggirono dal carcere San Tommaso di Reggio Emilia. Erano stati incarcerati cinque mesi prima perché ritenuti rei di aver letto libri “vietati” e in quanto appartenenti ad un gruppo del “Soccorso Rosso” che raccoglieva denaro e offerte per le famiglie che avevano parenti in carcere e che faticavano a mandare avanti un’economia domestica quantomeno di sussistenza. Come per i libri, questa forma di carità ed assistenza ai più poveri era vietata, pena la reclusione coatta. I giovani evasi dal San Tommaso, si unirono ai gruppi partigiani che agivano sulle nostre montagne.

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