Intervista a Gialdini Ubaldo “Marco” – 02/06/2016

2 giugno 2016: Conferimento Medaglia Ministeriale per il Settantesimo della Liberazione

 

Non essendo abituato a parlare in pubblico ed essendo molto commosso per questo riconoscimento, che gli viene conferito dopo 71 anni dagli eventi cui fece parte,  noi aderenti ANPI abbiamo deciso di  prestare la nostra voce al sunto della storia personale del partigiano GIALDINI UBALDO.

A partire dal 1945, a seguito del Decreto legislativo luogotenenziale del 21 agosto 1945, n. 518, dal titolo “Disposizioni concernenti il riconoscimento delle qualifiche dei partigiani e l’esame delle proposte di ricompense (d. lg. Lgt. 518/1945)”, furono istituite Commissioni regionali al fine di vagliare e definire la posizione dei partigiani.

1° documento

Associazione nazionale partigiani d’Italia – Comitato Provinciale di Reggio Emilia

Nr. Di matricola part. 26458 elenco n. 175

Cognome GIALDINI nome UBALDO nome di battaglia MARCO di Sidraco e Fiorini Pasqualina, nato il 01/11/1926 a Boretto (RE) residente a Cadelbosco Sopra – Villa Seta n. 39.

Stato civile celibe

Titolo di studio 5° elementare

Dati relativi al riconoscimento della qualifica partigiana: RICONOSCIUTA LA QUALIFICA PARTIGIANA DI “PARTIGIANO COMBATTENTE” per il periodo  dal 15/09/1944 al 25/04/1945 dalla Commissione Regionale di Parma nella seduta del 19/05/1947 in base al D.L.L. n. 518 del 21/08/1945

Reparto di appartenenza: 26° Brigata Garibaldi

2° documento

“N. 258679

Certificato al patriota

Nel nome dei governi e dei popoli delle nazioni unite, ringraziamo GIALDINI UBALDO di avere combattuto il nemico sui campi di battaglia, militando nei ranghi dei patrioti tra quegli uomini che hanno portato le armi per il trionfo della libertà, svolgendo operazioni offensive, compiendo atti di sabotaggio, fornendo informazioni militari.

Col loro coraggio e la loro dedizione i Patrioti Italiani hanno contribuito validamente alla Liberazione dell’Italia e alla grande causa di tutti gli uomini liberi.

Nell’Italia rinata i possessori di questo attestato saranno acclamati come patrioti che hanno combattuto per l’onore e la libertà.

Firmato

H.R. (Harold Rupert) ALEXANDER – Maresciallo – Comandante Supremo alleato delle forze nel Mediterraneo  centrale.”

 

 

Il partigiano Marco non si è mai considerato un protagonista ma un uomo normale ….. per quei tempi.

Alla domanda perché l’hai fatto? Ha sempre risposto “perché era giusto così”.

Quello che ci ha raccontato Ubaldo nel corso degli anni, con una sorta di pudore e come se tutto fosse una cosa normale,  cerchiamo oggi di riassumere, poche cose ma significative del suo percorso:

 

“ Nel 1940 avevo 14 anni ed era scoppiata la guerra. Ho preso coscienza di quello che significava dittatura e guerra e dopo poco sapevo che a Villa Seta gli amici più grandi avevano già aderito alle formazioni partigiane su nei nostri Appennini perché non accettavano il fascismo ed il nazismo. I Fascisti avevano bruciato la casa di un mio amico fraterno; lui, il fratello, la madre ed il padre dovettero rifugiarsi in montagna per sfuggire ad ulteriori rappresaglie…… Villa Seta era considerata una piccola Russia dai fascisti con tutto quello che ne conseguiva……. Quindi  intimidazioni, rappresaglie, arresti etc..  Ero convinto che i miei compaesani fossero nel giusto e quindi anch’io mi schierai.

Dopo l’8 settembre del 1943, avevo meno di diciassette anni, mi ritrovai a passare in bicicletta a Reggio davanti alla caserma Zucchi dove i tedeschi avevano imprigionato i militari italiani che non avevano aderito alla Repubblica di Salò:  le mura erano pattugliate da soldati tedeschi per evitare fughe da parte dei soldati italiani. Nel passare vidi che un militare italiano era riuscito a scavalcare il muro di cinta, mentre il tedesco di guardia imbracciava il fucile, mi venne istintivo dirgli “monta su” e lo caricai sulla canna della bicicletta mentre le pallottole ci fischiavano attorno pedalai a più non posso. Non avevo pensato alle conseguenze: pensandoci dopo avrei potuto essere ucciso o catturato ……….. ma non era la mia ora.

In quel periodo lavoravo come tuttofare in una caserma a Reggio Emilia, sotto il controllo della TODT (l’organizzazione del lavoro tedesca) dove si potevano trovare, abbandonati,  armamenti e strumenti bellici. A fine turno uscivo con le calze piene di munizioni, pallottole, che poi facevo pervenire alle formazioni partigiane. All’uscita venivamo perquisiti  ma riuscivo sempre a non essere beccato:  a volte restavo sulla bicicletta con un piede sulla pedivella ed uno ben appoggiato sul terreno. Ci controllavano all’altezza del corpo e lì non correvo rischi,  ma col peso nelle calze non sarei riuscito ad avere un’andatura normale e quindi restando in sella riuscivo ad allontanarmi con piccoli passi del solo piede aderente al suolo senza essere scoperto.

Poi nel 1943 i controlli si fecero sempre più serrati e non era più sicuro per me svolgere il mio ruolo di partigiano in città, così il Comando centrale della 26° Brigata Garibaldi mi richiamò  presso la sede a Villa Minozzo dove venni impiegato, vista la mia giovane età ed il mio aspetto da “sbarbatello”, come staffetta di raccordo tra il comando centrale e le  varie formazioni dislocate sull’Appennino Reggiano. Ovviamente giravo armato e portavo ordini ed informazioni, evitando i posti di blocco tedeschi e grazie ad una buona conoscenza del territorio sono sempre riuscito a portare a termine i miei compiti. Non potevo farmi prendere e mettere a repentaglio le vite dei miei compagni. Dormivamo nei fienili, mangiavamo quello che capitava, ma gli abitanti ci sostenevano e ci nascondevano. C’era una grande povertà, ma grazie alla solidarietà tutti siamo riusciti a sopravvivere.  Ricordo momenti di grande condivisione. Fortunatamente non ho mai dovuto ammazzare nessuno. Il mio lavoro, data la giovane età,  era un altro.

Ricordo che in un’occasione accompagnai due soldati alleati inglesi dispersi presso la casa dei fratelli Cervi affinché da lì, tramite le organizzazioni partigiane della pianura,   fossero ricongiunti con i propri battaglioni senza essere intercettati dai Tedeschi.

Qualche giorno prima della fine della guerra fui ferito di striscio alla testa dai tedeschi in ritirata: questo fu il motivo per cui scesi a Reggio  Emilia il 26 aprile 1945 e non il giorno prima, come tutti i miei compagni partigiani.

Dopo la guerra avevamo la libertà, potevamo riunirci senza essere arrestati, ma c’era ancora tanto da fare.

Rimanemmo a disposizione del C.N.L.  fino al 1946 (avevo 20 anni), in occasione del referendum che decretò la nascita della Repubblica Italiana. Restammo di guardia affinché tutto fosse regolare e non ci fossero disordini e provocazioni.

Nel 1951 in occasione dell’alluvione mi adoperai per prestare aiuto alla popolazione di Santa Vittoria, poi non trovando un impiego stabile e continuativo ed in base al protocollo d’intesa Italo-Belga trovai lavoro nelle miniere di carbone di Charleroi (Belgio) assieme a tanti altri italiani che come me avevano combattuto per la nostra patria ma che non avevano trovato sbocchi lavorativi.

Eravamo uomini soli; da contratto non avrei potuto rientrare in Italia se non dopo due anni. Mi mancava l’amore e l’affetto della mia fidanzata, e decidemmo di sposarci per procura. Sentivo il bisogno di formarmi una famiglia mia.

Sono stati anni duri, di sacrificio, per mia moglie e per me, ma abbiamo avuto due figli sani, il lavoro in Belgio c’era ed anche la salute, nonostante la miniera si sia portata via tanti miei compagni tra crolli, fughe di grisou e silicosi. Ho imparato il francese ed ero un lettore affezionato della biblioteca belga.

Nel 1961 il cosiddetto boom economico italiano ci ha riportato in Italia dove, finalmente, il lavoro c’era in abbondanza e più sicuro che nelle miniere di carbone e soprattutto c’erano le nostre famiglie ed i nostri affetti.

Ho sempre lavorato sodo e non ho rimpianti. Ho cercato di non far mancare niente alla mia famiglia, ho fatto studiare i miei figli, perché nell’ignoranza i poteri forti riescono a far presa più facilmente. Credo che l’istruzione sia un’arma potente per sconfiggere le dittature, per non farsi incantare da belle parole e per riuscire a ragionare con la propria testa e farsi le proprie idee. E’ importante per tutti ma soprattutto per i giovani conoscere ed imparare dalla storia per non ripetere gli errori passati.

Tuttora, nonostante l’età, continuo a leggere ed a tenermi informato di quello che succede intorno a me.

Lavorando una vita assieme a mia moglie siamo riusciti ad aver un nostro appartamento dove passare gli anni sereni della vecchiaia nonostante gli acciacchi. Rispetto al niente che avevo prima è una bella soddisfazione …………….” Ubaldo Gialdini.

 

A noi dell’ANPI che abbiamo raccolto la sua appassionata testimonianza e parafrasando Neruda viene da titolare la sua intervista “confesso che ho vissuto”.