SACCAGGIO BRUCIA DUE VOLTE

Il 5 agosto 1944 da Felina, forze nazifasciste attaccarono Saccaggio, piccolo borgo dove erano state segnalate forze partigiane sbandate.

Aiutate da un delatore del luogo e camuffate da patrioti, le squadre tedesche e fasciste assalirono l’abitato costituito da una quindicina di famiglie di contadini, razziando ogni cosa e incendiando varie abitazioni.

Arrestarono tutti gli uomini che trovarono sul luogo e li condussero a Gnana di Castelnovo ne’ Monti, ove il giorno seguente ne fucilarono cinque: Sanguinio Pellegrini, Luigi Pellegrini, Davide Cilloni, Guglielmo Beretti e Giovanni Cattozzi di Croce di Castelnovo ne’ Monti.

Frattanto i presidi G.N.R. della montagna ricevevano rinforzi di militari fascisti.

Appprofittando dell’occasione favorevole, il comandante del presidio G.N.R. di Felina, Tenente Mario Giovannetti, ordinò di rastrellare Saccaggio di Carpineti con un plotone di trenta uomini. Mentre 18 di questi circondavano il paese, i rimanenti 12, camuffati da partigiani, entrarono nell’abitato.

La popolazione, non dubitando dell’inganno, li accolse benevolmente ed offrì loro di che sfamarsi.

Essendo in possesso d’informazioni precise ricevute da spie locali, i fascisti si recarono poi verso l’abitazione di Marino Pellegrini.

Anche costui cadde nel tranello classificandosi per partigiano sbandato in attesa di rientrare al suo reparto.

Nel corso del rastrellamento, visto che la popolazione dimostrava sentimenti antifascisti, i militi uccisero sul posto il Pellegrini e incendiarono vari granai affinché gli abitanti non potessero consegnare il grano ai partigiani.

Partirono poi in camion verso le 8:30 del mattino, dopo aver terrorizzato la popolazione con sparatorie, portando con loro come ostaggi 8 uomini del paese, appena in tempo per sfuggire all’intervento del distaccamento “Casoli” che, udite le raffiche, si era portato immediatamente sul posto.

LA TRAPPOLA AL FRATELLO

“Era quasi l’alba del 30 agosto 1944, a Saccaggio, piccolo borgo arroccato sull’Appennino reggiano”, così racconta Elena Silvia Bonini, figlia di Lidia Pellegrini.

Il caldo insopportabile non era ancora esploso. Tutti dormivano, ma erano solo donne, vecchi e bambini. La guerra si era portata via gli uomini giovani e forti.

Arriva da lontano un delatore, travestito da compagno di lotta, con il fazzoletto rosso al collo.

Arriva senza far rumore, senza chiasso e bussa alla porta di Luigi Pellegrini e Olimpia e dei loro dieci figli.

Come la morte arriva senza preavviso, così la ferocia e la violenza arrivano senza una ragione.

Capitò lì con un solo scopo, ineluttabile, e sapeva che sarebbe stato infallibile perché la sorpresa avrebbe colto tutti impreparati.

Sapeva quale era il suo compito perché agli ordini di guerra bisogna ubbidire.

“Bussano alla porta” dice Luigi.

Olimpia si sveglia di soprassalto.

“Marino dov’è?”

“Nel suo letto”

“Non aprire” dice Olimpia.

Ma sono suoi compagni, sono i partigiani. Hanno il fazzoletto rosso al collo.

“Mamma, devo andare, sono i miei compagni. Devo andare.” dice Marino e si veste in fretta.

“Prepara qualcosa da mangiare anche per loro, avranno fame. Hanno camminato per tutta la notte”.

L’uomo entra in casa e fa colazione insieme a Marino.

Mangiano e bevono, si alzano ed escono.

Marino li segue sbucciando un uovo sodo, varca la soglia di casa, avvicina l’uovo alla bocca, ma il traditore gli punta la pistola alla fronte e spara.

La madre dietro di lui tenta di sorreggerlo, ma Marino cade a terra in un lago di sangue.

Il dolore e le urla della madre svegliano il piccolo borgo.

Il traditore spara ancora.

Maria si avventa contro gli assassini, cade a terra colpita.

Stessa sorte tocca a Mirella, tredici anni, per aver tentato di salvare la sorella Maria.

Intanto Guerrino, assieme al padre Luigi, tenta disperatamente di scampare all’attacco dandosi alla fuga da una finestra retrostante. Sembra una strage senza senso.

Ma Maria e Mirella si salveranno e potranno poi raccontare che un giovane di venti anni, di nome Marino, veniva assassinato a bruciapelo per aver DIFESO LA LIBERTA’.

Il suo corpo senza vita giacque per giorni e giorni sotto il sole cocente di agosto, sotto i grandi occhi azzurri della madre, scortato giorno e notte da due “camicie nere” con i fucili puntati: “Guai a voi se toccate questo corpo. Deve marcire qui. E’ il corpo di un maledetto bastardo.”