“EROS” NE FU IL PRIMO PRESIDENTE
Sul “Volontario della libertà del 10 giugno 1945 si dava l’annuncio della costituzione dell’ANPI reggiana, con lo scopo di “tenere organizzati tutti i patrioti smobilitati”. E non era un obbiettivo da poco. Da oltre 10.000 gli iscritti furono ben presto 12.862 distribuiti in 74 sezioni territoriali. La maggior parte degli ex partigiani, età prevalente sui 20-25 anni, erano senza lavoro.
Il primo dirigente dell’ANPI provinciale, come Segretario (i suoi successori si chiamarono poi Presidenti) fu Didimo Ferrari, “Eros”, Commissario generale del Comando unico e vero e proprio capo carismatico. Eros aveva 35 anni ma già alle spalle un curriculum che rendeva leggendaria la sua figura.
Giovinezza trascorsa tra carcere e confino (tra i 22 e i 31 anni), per il suo rigoroso impegno antifascista, condusse la lotta di liberazione con capacità eccezionali di organizzatore politico e militare (Medaglia d’Argento). SCHEDA
Anche se fu spesso contestato da figure, altrettanto carismatiche, della resistenza cattolica, come Pasquale Marconi e don Carlo Orlandini, crediamo vada anche a merito di “Eros”, oltre che del prof. Giuseppe Dossetti, se la Resistenza reggiana fu condotta in modo unitario fino alla Liberazione.
Del resto, per rendersi conto delle qualità di Eros, si veda il ricco epistolario, conservato nell’Archivio di Istoreco, tra lui e decine di figure militari e politiche della Resistenza reggiana e non solo. Del tutto particolare quello con il comandante azionista Barocci operante in Lunigiana (v. “RS”, n. 29/30): ne emerge un rapporto davvero singolare: l’ex servitore contadino a 11 anni e poi bracciante comunista autodidatta, Eros, accolto come un maestro dal fine studioso di storia dell’arte prof. Roberto Battaglia.
L’Anpi, nata come associazione unitaria, si proclamò da subito “politica ma non partitica”; anche se il suo segretario stava un po’ stretto in questa definizione, mantenendo contemporaneamente diversi ruoli di rilievo anche come dirigente della Federazione comunista.
Il capo partigiano, amministratore pubblico e dirigente comunista ebbe non poche gatte da pelare in quella complicata uscita dalla guerra. Sia per il disagio sociale, con tanti disoccupati, che per le questioni di ordine pubblico, connesse anche alla delusione, a volte esasperata, di ex partigiani che, troppo presto smobilitati, rimanevano senza prospettive e allo sbando, sicché “non è stato facile – come scrive lo stesso Eros nel 1947 – convincere i combattenti per la libertà a pazientare ed a vigilare affinché non sorgessero movimenti inconsulti “.(Due anni di lotta per la libertà e la democrazia. 1945-1947, p. 9) SCHEDA
E l’Anpi, sotto la sua guida, seppe far fronte a tante esigenze di rinascita con la creazione di cooperative di lavoro, con l’organizzazione di interventi assistenziali, con la fondazione del Convitto scuola della “Rinascita”, da cui usciranno centinaia di quadri e di tecnici che saranno protagonisti del difficile avvio della ricostruzione. Il tutto in un contesto politico generale fatto di battaglie elettorali (amministrative, per la Costituente, per il Referendum istituzionale).
L’Anpi ebbe in quella fase il suo quartier generale in una larga parte del vecchio isolato San Rocco: uffici, redazione del settimanale Volontario della Libertà (poi Nuovo Risorgimento), mensa popolare, il caffé liberty affacciato sui portici, e sovrastanti sala e terrazzo estivo per il ballo. Ed Eros si muoveva instancabilmente tra questa specie di falansterio partigiano e le attigue sedi della Camera del Lavoro e della Federazione comunista (attuali Archivio di Stato, e Comando carabinieri), e connessa Tipografia popolare, scrivendo anche articoli sia per il “Volontario” che per “La Verità” (settimanale del Pci reggiano). E proprio in quella fase, 1946-1947, ebbe avvio, attraverso la collaborazione tra Anpi, Udi, Fronte della Gioventù, Partiti di sinistra (ma anche settori della Dc), lo straordinario fenomeno di accoglienza per centinaia di bambini dal Sud (Napoli in particolare) e da Milano. Eravamo poveri ma molte delle case contadine che erano state basi accoglienti per i partigiani della pianura si aprivano ora ad accogliere i bambini da zone ancora più disastrate dalla guerra.
Quella di Eros fu una intensa ma breve esperienza alla testa dell’Anpi e contemporaneamente da dirigente comunista. Nel 1948 divenne segretario della Federterra, ma continuò ancora ad occuparsi dell’Anpi, mentre si stava consumando la scissione (conseguenza della spaccatura del mondo in due blocchi) che diede vita all’Apc cattolica e all’Alpi azionista. Sofferente per vari malanni, eredità di una poverissima infanzia e di una travagliata giovinezza (morirà d’angina a soli 47 anni) seppe comunque essere fino alla fine un instancabile lavoratore.
Come diversi altri suoi compagni, visse il dopoguerra diviso tra impegno sociale concretamente riformista (connesso comunque ad un’attesa messianica di comunismo) ed il ricorrente timore del “colpo di stato reazionario” (cfr “RS”, n. 64/66, 1990). In quel clima alcuni ex partigiani comunisti furono variamente coinvolti in omicidi.
A quegli alcuni, Eros accostava esplicitamente “Lino” Nizzoli, segretario della Federazione comunista. Contro di lui condusse una lunga sotterranea battaglia auspicando il ritorno a Reggio di Valdo Magnani per mettere ordine in una federazione in seno alla quale Lino, secondo Eros, aveva creato “un partito nel partito”.
Ma gli toccò poi di espatriare in Cecoslovacchia (dopo una latitanza in Romagna) dove rimase dal giugno 1951 al 1955, per sottrarsi ad una condanna basata su di un’accusa dalla quale si difese sempre tenacemente “nella speranza, sempre delusa – scrive Guerrino Franzini – di vedere riaperto il procedimento e di poter provare la sua estraneità al fatto”.
“Al compagno D’Onofrio – scrisse nel 1956 in una lunga lettera alla Commissione Centrale Quadri del Pci – spiegai anche che certi fatti erano avvenuti, dopo la Liberazione [….] perché lo stesso segretario di allora, Nizzoli, li aveva direttamente o indirettamente preparati”.
Poté tornare a Reggio, dalla moglie Fiora e dalle figliolette Anna e Maura (di 8 e 6 anni) nel 1955. Nato poverissimo, visse in povertà anche gli ultimi quattro anni della sua esistenza, con un modesto e umbratile incarico nella federazione del Pci.
Morì a Reggio il 7 ottobre 1959.
La sua figura di “compagno molto tormentato e molto sincero” (definizione di Valdo Magnani), per il ruolo che ebbe in anni cruciali della nostra storia, meriterebbe uno studio approfondito, anche avvalendosi dei molti documenti disponibili negli archivi.
(In questa sede mi sia concesso rimandare a quanto ne ho scritto in “Ricerche storiche”, n.64/66, 1990) – (Antonio Zambonelli)
