1945 – Febbraio 14 – Rappresaglia di Calerno

Sant’Ilario – Calerno

Fucilazione a Ponte Cantone di Calerno di 20 ostaggi prelevati dalle carceri di Parma come rappresaglia alle azioni del 12 (Egidio Gardini, Renzo Melloni, Giuseppe Bellini, Antonio Gandolfi, Aldo Pasquali, Oreste Tosini, Amos Montecchi, Bruno Faustini, Angiolino Tanzi, Pierino Avanzi, tutti di Parma; Guido Botti, Franco Molinari, Paride Zanatti, Raimondo Fermi, Nello Avanzi, Giulio Resmini, tutti di Piacenza; Corrado Barresi e Giacomo Bernardelli di Brescia; Luigi Viglilio di Napoli; Nicola Cosimo Salvo di Messina).

Calerno

La battaglia era ingaggiata, i partigiani riprendevano l’attività offensiva; la posta era troppo importante perché dovesse essere abbandonata.

La sera del 12 febbraio altre squadre di garibaldini e di patrioti della pianura, nonostante le condizioni climatiche proibitive erano nuovamente in postazione sulla via Emilia ed attaccavano alcune macchine, infliggendo al nemico varie perdite e danneggiando gli automezzi.

I tedeschi si sentirono colpiti sia per il danno materiale subito nel fatto d’arme, sia perché il loro orgoglio non poteva ammettere che i loro proclami e le loro vendette alimentassero anziché frenare il “ribellismo”.

Fu così che vennero prelevati nuovamente delle carceri parmensi 20 ostaggi, per lo più giovani partigiani o sospetti di attività antifascista, catturati in precedenti rastrellamenti nelle provincie vicine.

Gli infelici venivano fatti scendere nella località dello scontro il 14 febbraio ed ivi fucilati.

I tedeschi non contenti dell’eccidio, pubblicavano sulla stampa fascista una “diffida” nella quale, mentre si lamentavano gli attacchi subiti sulla via Emilia, che avevano provocato la morte ed il ferimento di militari germanici, si minacciavano nuove e più gravi rappresaglie nel caso che le azioni si fossero ripetute. Si tentava di impietosire l’opinione pubblica parlando delle lacrime delle famiglie dei militari uccisi e si affermava che “essere banditi, significa perire presto o tardi come volgari delinquenti”.

Ma avevano diritto i tedeschi di appellarsi al senso di umanità, proprio loro che avevano per costume di far ricadere su innocenti la loro vendetta?

Vediamo ad esempio un episodio che è significativo a questo proposito: a Ponte Cantone, dopo la fucilazione dei 20 ostaggi, il giovane Oreste Tosini, ferito ma non colpito a morte, riusciva dopo la partenza dei tedeschi a liberarsi dei corpi esamini dei suoi compagni e ad allontanarsi dal luogo del massacro con sforzi infiniti. Fu portato in canonica ove ricevette le prime cure.

I partigiani pretesero la consegna del giovane per sottrarlo alle ricerche dei nemici. Il prete si disse sicuro di potergli salvare la vita e non volle consegnarlo.

Il comandante della piazza, Maggiore Frase, assicurò il parroco che il giovane non sarebbe stato toccato. Viceversa alcune SS, giungevano in macchina alla canonica, prelevano il Tosini, lo uccidevano freddamente con i colpi di pistola alla testa gettandone poi il corpo nel torrente. La salma veniva ritrovata circa due mesi dopo presso Cadelbosco.

Il sangue continuava a scorrere. Il medesimo giorno 14, dieci cittadini venivano fucilati a Bagnolo in Piano, 5 a Villa Bagno il 20 marzo, 8 giovani venivano fucilati a S. Michele di Bagnolo.

Ma la Via Emilia era sempre oggetto degli attacchi partigiani quasi ininterrottamente e spesso i tedeschi dovevano incassare i colpi senza compiere rappresaglie, subendo molti danni e perdite.

Intanto i tempi mutavano: il rastrellamento invernale effettuato sulla montagna per allentare la pressione dei garibaldini verso la pianura si concludeva con un nulla di fatto per i nemici e gli attacchi continuavano in tutta la pianura. I sappisti e i Gappisti, sorretti dall’aiuto popolare, potenziavano la loro organizzazione e, proprio nel febbraio, a Fabbrico, infliggevano una dura lezione ai nemici salvando contemporaneamente 22 ostaggi che stavano per essere fucilati dalle Brigate Nere. I presidi di Bibbiano, Montecchio, Codemondo e Cavriago venivano attaccati contemporaneamente. San Martino in Rio veniva liberata, tutte le organizzazioni della Resistenza partecipavano alla importante manifestazione insurrezionale del 13 aprile indetta in Reggio Emilia ed i vari comuni della provincia.

La continua pressione partigiana e popolare fece sentire i suoi frutti nel momento decisivo: i tedeschi e i fascisti investiti da ogni lato lasciavano la provincia senza poter effettuare i saccheggi, le distruzioni industriali e le deportazioni progettate.

La nostra provincia fu salvata dalla sorte della terra bruciata che i nazi – fascisti le avevano assegnato (Mussolini aveva detto che la pianura padana sarebbe stata difesa città per città, casa per casa).

 

Nominativi dei caduti di Calerno

  • Gardini Egidio – Parma
  • Melloni Renzo – Parma
  • Bellini Giuseppe – Parma
  • Gandolfi Antonio – Parma
  • Pasqua Aldo – Parma
  • Tosini Oreste – Parma
  • Montecchi Amos – Parma
  • Faustini Bruno – Parma
  • Tanzi Angiolini – Parma
  • Avanzi Pierino – Parma
  • Botti Guido – Piacenza
  • Molinari Franco – Piacenza
  • Zaratti Paride – Piacenza
  • Fermi Raimondo – Piacenza
  • Avanzi Nello – Piacenza
  • Resmini Giulio – Piacenza
  • Barresi Corrado – Brescia
  • Bernardelli Giacomo – Brescia
  • Luigi Vigilio – Napoli
  • Nicola Cosimo Salvo – Messina