17 settembre 1944 – Rappresaglia di Reggiolo

 

In seguito ad uno scontro tra una pattuglia di gappisti ed una della Brigata nera, che provocò due morti tra i fascisti nella notte tra il 17 e il 18 settembre 1944, il federale Ferri, alla testa di 200 uomini mise a sacco Reggiolo, incendiò una casa, fermò 30 persone e ne uccise quattro (il ten. col. Giuseppe Sacchi, l’avv. Massimiliano Polacci, il dott. Antonio Angeli e l’ing. Erminio Marani).

La ricostruzione dell’evento di Paola Calestani (da un estratto del saggio Gugliemo Ferri “fascista integrale”, pubblicato in «RS – Ricerche Storiche», 89/2000)

I due fascisti che morirono a Reggiolo la notte del 17 settembre furono vittime di una sparatoria tra un gruppo di gappisti e una squadra delle Brigate Nere in pattuglia notturna. La rappresaglia che ne seguì fu l’occasione per Ferri, nuovo Federale del PFR di Reggio Emilia, di dimostrare subito di essere un fascista che alle parole faceva seguire i fatti. La determinazione nella lotta contro il nemico, senza esclusione di colpi, doveva essere la sua arma vincente per arginare prima e sconfiggere poi il movimento partigiano, che aveva potuto organizzarsi e radicarsi in tutta la provincia, a causa della debolezza della precedente reggenza del PFR di Reggio. A questo proposito è interessante ripercorrere i fatti di Reggiolo così come li presenta il Federale Ferri in un rapporto del 19 settembre 1944, dove emerge chiaramente il significato “dimostrativo” ed intimidatorio della rappresaglia portata a termine dalle sue truppe.

Dalle informazioni in possesso del nostro Ufficio Politico risulta che in una zona vastissima della pianura reggiana, squadre e gruppi di partigiani, appoggiati da elementi isolati della GAP, svolgono un’attività intensissima che va dall’assalto dei Presidi della 30a Brigata Nera, all’uccisione del fascista isolato, dal mitragliamento degli automezzi che transitano nelle strade, al saccheggio, all’incendio o al furto; dall’intimidazione alla propaganda attraverso tutti gli abituali mezzi, sia in italiano che in tedesco.

Secondo Ferri, la gravità della situazione non consiste solo nell’attività partigiana, ma soprattutto nel fatto «accertato e stabilito che una parte della popolazione dei luoghi di questa vasta zona vive in correità con essi, fornendo loro aiuto ed assistenza nelle forme più svariate e complete». Anche in questa occasione, Ferri esprime tutto il suo odio e disprezzo per quella categoria di persone che invece di aderire al PFR e porsi come guide morali e politiche del nuovo fascismo repubblicano, operano contro di esso. «Questa complicità – aggiunge Ferri collegandosi al discorso precedente – è stabilita soprattutto per certe, sebbene limitate categorie di intellettuali, professionisti, possidenti e nobili della nostra provincia».
A Reggiolo affluirono 200 uomini della Brigata Nera che riunirono una trentina di antifascisti ritenuti colpevoli di “propaganda antinazionale, antitedesca” e di essere ex-fascisti traditori, sovvenzionatori dei gruppi partigiani.
Inoltre, sempre secondo il rapporto di Ferri prima citato, le quattro vittime della rappresaglia vengono trovate in possesso di armi e per questo motivo giustiziate. Alla motivazione dell’esecuzione Ferri aggiunge:

L’esecuzione di questi quattro elementi ha determinato una reazione favorevolissima in tutto l’ambiente fascista, nella popolazione di tutta la provincia, perché ben conosciuti da sempre come elementi responsabili materialmente e moralmente della situazione di sovvertimento, di disordine antinazionale, antitedesco e decisamente pro-nemico.

In un rapporto del 18-9-1944, un ufficiale della GNR di Reggio Emilia fornisce ulteriori particolari sulla rappresaglia di Reggiolo e conferma la presenza di Ferri in prima persona. Fu la GNR, mandata a Reggiolo il 17 settembre per “esaminare le varie circostanze ambientali”, a fermare l’avv. Polacci, l’ing. Marani, il geom. Angeli e il ten. col. Lucchi, con l’accusa di antifascismo; solo il giorno seguente intervenne la BN guidata personalmente da Ferri, che, dopo aver eseguito delle perquisizioni domiciliari, decise l’esecuzione dei quattro fermati. Furono inoltre distrutte le abitazioni dell’avv. Raschi e quella del sig. Lui, entrambi di Reggiolo.

Anche il Segretario del Comune di Reggiolo, Renzo Grossi, interviene in merito alla rappresaglia del 17 settembre con una lettera inviata al Capo della Provincia il 20 dello stesso mese. Grossi, dopo aver ricordato l’uccisione dei due fascisti delle BN e il ferimento di un civile da parte di ignoti, riassume con precisione i fatti del giorno 17:

La mattina del giorno 17 ad opera di reparti della Brigata Nera affluiti in questo comune venivano compiute azioni di rappresaglia con fermi ed arresti di persone, sparatorie, perquisizioni domiciliari. Verso le ore 14 del predetto giorno venivano giustiziate sulla pubblica piazza di fronte alla “Rocca”, mediante fucilazione, le seguenti persone:
l) Marani Erminio, fu Girolamo di 79 anni, insegnante;
2) Sacchi Giuseppe, fu Giuseppe, di anni 62, impiegato;
3) Polacci Massimiliano, fu Pio, di 45 anni, avvocato;
4) Angeli Antonio, fu Italo, di anni 33, dottore in Agraria, impiegato.

Grossi riporta anche i fatti del suicidio del Commissario Prefettizio Nasuelli, avvenuto il giorno seguente la rappresaglia, in modo diverso da Ferri. Secondo la testimonianza di Grossi, alle 8.30 del 18 settembre Nasuelli si uccise con un colpo di pistola nel giardino della sua abitazione, dopo aver lasciato uno scritto alla famiglia in cui motivava il suo gesto con l’impossibilità di sopravvivere al dolore causatogli dagli avvenimenti di quei giorni.
Al termine della sua relazione prima citata, Ferri riporta il medesimo fatto, fornendo una sua personale interpretazione del gesto estremo, in chiave chiaramente propagandistica.

Possiamo aggiungere che il Commissario Prefettizio di Reggiolo, iscritto nel Partito Fascista Repubblicano, si è suicidato ieri mattina, in seguito all’uccisione dei due fascisti Zanotti e Branchini, ha ritenuto di essere stato tradito dai cittadini che egli ha beneficato della sua opera e della sua magnificenza per molti anni.

Con queste parole Ferri esaltò la figura di Nasuelli, portandola come esempio di estrema coerenza di un fascismo eroico, che si contrapponeva alla viltà di chi ormai il fascismo aveva tradito.
Se Ferri considerò la rappresaglia un forte messaggio dimostrativo nei confronti di una popolazione sempre più vicina al movimento partigiano e comunque antifascista, il Segretario Comunale di Reggiolo Grossi dimostrava al Capo della Provincia tutta la sua preoccupazione:

L’impressione causata da tanti e così tragici lutti ha completamente paralizzato la vita locale. La popolazione maschile si è in gran parte allontanata e dispersa nelle campagne per tema di ulteriori rappresaglie. Tutti i negozi sono stati chiusi e qualsiasi attività sospesa. Le notizie e le voci più infondate trovano immediato credito.
Mi permetto di prospettare l’opportunità che un autorevole voce venga a portare una parola rassicurante in modo da far cessare il collasso morale e fisico in cui è piombata questa popolazione.

Degli avvenimenti del settembre 1944 a Reggiolo, il processo, celebrato a Reggio Emilia nel luglio del 1945, attribuì a Ferri la responsabilità politica della rappresaglia e ai componenti della sua “Banda”,ovvero i militi della BN, quella materiale dell’esecuzione, sostenuta anche dal Segretario del Fascio di Reggiolo. L’accusa contro Ferri e altri 42 imputati, componenti della cosiddetta “Banda Ferri”, fu di concorso in omicidio premeditato, continuato, più volte aggravato. In particolare a Ferri si imputava di aver fatto parte della commissione che deliberò l’eccidio e di essere l’autore di un manifesto pubblicato per informare la popolazione della “doverosa rappresaglia”.
Ferri, come risulta dagli atti del processo, dichiara di essere stato costretto dai tedeschi alla pubblicazione del manifesto; la corte considerò questa sua affermazione un’ulteriore aggravante per il reato di collaborazionismo con il nemico tedesco. A Ferri fu attribuita anche la responsabilità oggettiva dell’eccidio di Villa Coviolo. La Corte Straordinaria di Assise di Reggio Emilia condannò Guglielmo Ferri alla pena di morte mediante fucilazione alla schiena, ma la Corte di Cassazione di Milano, con sentenza del 5 agosto 1945, dichiarò la pena di morte inflitta a Ferri a Reggio Emilia assorbita da quella del Tribunale di Parma, che aveva condannato Ferri alla medesima pena il 2 luglio 1945. La vicenda giudiziaria dell ‘ex-Federale di Reggio non seguì quella degli altri imputati della Brigata Nera reggiana, conosciuti dalla gente come “Banda Ferri”. Attualmente si può solo affermare con sicurezza che la pena capitale a carico di Ferri non fu eseguita. Non si conoscono, però, gli sviluppi della vicenda: le ultime notizie sono state reperite all’anagrafe di Parma, dove Guglielmo Ferri risiedeva. Nella sua scheda anagrafica fu registrato il suo trasferimento a Porto Azzurro sull’ isola d’Elba, sede di un penitenziario, nel 1947, in seguito al provvedimento di Togliatti, con il quale molto probabilmente ebbe una riduzione della pena.
Gli altri componenti della “Banda Ferri” risposero nuovamente del reato di omicidio per i fatti di Reggiolo nel processo di revisione presso la Corte di Assise di Perugia il 6 dicembre 1950, dopo la commutazione in Cassazione della pena di morte in ergastolo. Gli imputati ottennero delle riduzioni della pena.