2 – L’approccio storiografico

 

Il progetto prende le mosse da un interrogativo storiografico di lungo periodo: quali rappresentazioni identitarie, memoriali e politiche hanno sostenuto il processo geostorico di costruzione della “Provincia non provincia” – per riprendere una raccolta di scritti di Giannino Degani che data al 1982 – di Reggio Emilia? Una provincia che era nata nel 1861 per “risulta”, tra le più reputate Parma e Modena, grazie al precedente napoleonico del Département du Crostolo con il quale Napoleone aveva inteso esprimere la propria gratitudine al popolo reggiano insorto per primo a favore dei francesi portatori del nuovo tricolore rivoluzionario.

La reputazione di laboratorio politico-sociale della modernità, fortemente proiettato sul piano internazionale, non ha più lasciato Reggio Emilia, e propriamente a partire dalla articolazione policentrica di questo territorio. Il focus temporale qui scelto corrisponde alla discontinuità epocale introdotta dalla “grande trasformazione” industriale e dall’imporsi della società dei consumi. Siamo grosso modo nei decenni ’60 e ’70. Non furono neutrali processi – se mai possano esistere – di modernizzazione. Vi si accompagnarono la rivoluzione del lavoro e dei costumi, il cambio della città e l’urbanizzazione diffusa, nuove insorgenze sociali e culturali. Il conflitto politico innescato su scala nazionale produsse a Reggio Emilia l’eccidio del 7 luglio 1960. Furono cinque, assieme a decine di feriti, gli operai comunisti uccisi in piazza, tre ex partigiani e due giovanissimi: Afro Tondelli (1924), Emilio Reverberi (1921), Lauro Farioli (1938), Marino Serri (1919), Ovidio Franchi (1941).

Ci sentiamo di dire che – pur tra numerosi contributi di storia politica, non poche ricostruzioni in chiave autobiografica, alcuni buoni studi di storia orale – risulta ancora insufficiente la meditazione in chiave di storia della memoria. Occorre cogliere, suggerisce il cibernetico Gregory Bateson, i punti in cui sono cambiati gli atteggiamenti. E a tutt’oggi mancano, ad esempio, studi di storia ambientale che raccontino le torsioni spazio-temporali intervenute in quegli anni. Ma poi, quando si cambiano gli atteggiamenti, insieme alle aspettative di futuro muta il rapporto con la memoria. La scelta di investire sulle fonti orali pone in discussione la filosofia della storia che vestiamo per abito mentale. Laddove siamo alfabetizzati per “ordinare” le realizzazioni fattuali entro cronologie lineari, la storia con le memorie induce a riconsiderare le gerarchie storiografiche e, finalmente, ad interrogarsi sulle retoriche narrative che sostengono la nostra rappresentazione del presente storico. Ciò che forma e trasforma le soggettività, individuali e collettive, di genere e generazionali, chiede egualmente di essere ricompreso tra i fatti storici.