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A B C D E F G H  I L M N  O P Q  R S T U V Z

Bagnoli Enzo “Vampiro” (1922-1944)

Operaio comunista, residente a Rovina di Castelnuovo Monti, cadde valorosamente il 30 luglio 1944, nel tentativo di impedire ai tedeschi l’accesso a Ligonchio. Impavido, mantenne la posizione per ore proteggendo la ritirata del suo reparto e ritardando la marcia del nemico col fuoco di un solo mitragliatore. Si destreggiò a lungo di balza in balza tenendo in scacco i tedeschi, finchè accerchiato, venne colpito a morte con in pugno la propria arma. Per l’eroico gesto è stato decorato con la Medaglia d’Argento al valor militare alla memoria. In suo onore, i compagni daranno alla 26° Brigata il nome Enzo Bagnoli.

Becchi Rosina “Anna” (1918-1987)

Partigiana del Comando Unico della Montagna Reggiana, venne arrestata nel gennaio 1945 da truppe tedesche, subendo sevizie nei presidi militari di Cervarezza, Busana, Ciano d’Enza, Albinea ed infine ai Servi di Reggio Emilia. I partigiani la liberano dal carcere di San Francesco a Parma il 24 aprile 1945.
Era una ragazza libera, senza particolari problemi in famiglia e senza lavoro, costretta a condurre un’esistenza economicamente disagiata, come quella di tante altre giovani donne e di tantissime altre famiglie del nostro Paese, una vita spesso fatta di miseria e di innumerevoli repressioni a causa della dittatura fascista. Un regime eversivo, reazionario e violento che impediva la libertà di tutto il nostro popolo, ma che tuttavia innescò nell’animo di tutti i cittadini onesti, un odio viscerale nei confronti di chi aveva portato l’Italia in una guerra senza futuro, condannandola alla distruzione ed alla rovina.
Alla caduta di Mussolini, il 25 luglio 1943, deposto dai suoi stessi gerarchi, Rosina iniziò a manifestare i primi sintomi di ribellione a quell’assurdo stato delle cose, tanto da unirsi ad alcuni giovani che cercavano il modo per opporsi da chi li opprimeva. Il Partito Comunista Italiano fu il naturale approdo per la giovane ragazza, convinta della veridicità dei suoi intenti, convinta che proprio attraverso quel partito potessero realizzarsi quei bisogni che erano da sempre mancati alle povere persone come lei. Quella che inizialmente fu una semplice curiosità di ragazza, divenne ben presto partecipazione convinta, Rosina entrò infatti in contatto con i vari Niccioli Emilio, Mazzali Eles e con colui che diventerà suo futuro marito, Tarasconi Walter, i quali già operavano attivamente sia in  montagna che in pianura. La prima azione di Rosina fu quella di portare, insieme ad una compagna, alcune borse contenenti indumenti, armi e munizioni in una casa colonica appena sotto la via Emilia, sede di uno dei primi nuclei partigiani. L’attività della giovane donna proseguì nella zona di Cavriago, ben presto entrando nell’occhio del nemico, infatti fece appena in tempo a salire in montagna su consiglio di Tarasconi e di Eles Mazzali, dove peraltro c’era grande bisogno.
Poco dopo la sua partenza i fascisti andarono a casa a cercarla e, non trovandola, arrestarono la sorella, senza permetterle di salutare la figlia che la guardava sulla porta. (La trattennero due mesi, non riuscendo ad ottenere le notizie che avrebbero voluto).
“Anna”, questo il suo nome di copertura, divenne staffetta nell’aprile del 1944 operando tra Febbio e Villa Minozzo e partecipando attivamente a diverse azioni, nonostante in quei primi mesi i partigiani non fossero ancora ben organizzati ed i distaccamenti erano armati di pochi fucili, qualche rivoltella ed alcune bombe a mano.
L’11 gennaio 1945 “Anna” venne fermata nei pressi dello Sparavalle ed immediatamente condotta al Comando tedesco di Cervarezza dove subì il primo interrogatorio e le prime torture. Lo stesso giorno fu trasferita al Comando superiore di Busana subendo per due lunghi giorni i peggiori trattamenti: spogliata, sbeffeggiata, insozzata di sputi, percossa con brutalità, per giunta i suoi carnefici la fecero sedere nuda sopra ad un termosifone bollente, legata con dure corde ad una seggila tanto da provocarle una insufficienza circolatoria ad una mano, che divenne nera ed il doppio dell’altra. Le fecero infine un’iniezione per farla parlare, ma invano. Passò poi al famigerato Comando antipartigiano di Ciano per 5 giorni, sempre oggetto delle “attenzioni” dei tedeschi, quindi ne trascorse altri 8 ad Albinea, sede della polizia investigativa tedesca. Il 25 gennaio, Villa Cucchi ed infine il carcere dei Servi di Reggio, furono le ultime tappe dell’infinito supplizio della povera Rosina. Tedeschi e fascisti pur di strappare un solo nome dalla bocca della giovane partigiana, fecero ricorso anche alle lusinghe più allettanti: fu il vile Tesei in persona a proporle una lussuosa villa oltre il Po, 100 mila lire e gioielli. Dopo 4 mesi di atroci torture fisiche e di tormenti morali, il 23 aprile 1945 la brigata nera scappò da Reggio ed i Servi finalmente lasciati aperti, “Anna” però fu portata a Parma dai tedeschi e rinchiusa nel carcere di San Franceso con altre 5 donne in una cella sotterranea, con alla porta un cartello con scritto: “CAPUT!”.
Il destino di quelle donne era certamente la fucilazione. Senza perdersi d’animo “Anna” iniziò a battere sulla porta con un mestolo per la minestra, era la notte a cavallo tra il 24 ed il 25 aprile 1945, tutti i detenuti dei piani superiori erano stati liberati. Senza stancarsi un istante, i continui colpi sulla porta vennero finalmente uditi dai partigiani che erano entrati nel carcere alle prime luci dell’alba, “Anna” era finalmente libera. Condotta alla Caserma Zucchi di Reggio sede del Comando Unico, venne accolta dai festeggiamenti dei compagni, che l’avevano creduta morta dopo tutti quei mesi.

Benelli  Andrea “Loris” (1920 – 2009)

Andrea Benelli nacque a Reggio il 22 ottobre 1920 in una famiglia contadina, con la quale condivise il duro lavoro, immediatamente dopo il conseguimento della licenza elementare.

Arruolato nel 33° Reggimento Fanteria, si trovò in Sicilia al sopraggiungere dell’8 settembre 1943 insieme a tanti commilitoni, lasciati in balia degli eventi e sbandati, riuscì a far ritorno nella casa dei genitori a Roncolo di Quattro Castella, dopo enormi peripezie. Sul finire dello stesso anno, tramite i racconti di alcuni amici, Andrea prese contatto con i primi gruppi partigiani della zona, ma soltanto nel novembre 1944 entrò in clandestinità, inquadrato nel III° Distaccamento del 3° Battaglione, appartenente alla 76^ Brigata SAP “Angelo Zanti”.

“Loris”, questo il suo nome di copertura durante la Resistenza, fu un partigiano come tanti, che nel momento più buio della storia del nostro Paese, scelse senza indugio e consapevolmente la strada più dura, piuttosto che sottomettersi all’invasore tedesco ed alla servitù fascista. Partecipò con i suoi compagni a diversi attacchi a presidi nazifascisti nella zona di Rubbianino, Roncolo e Bergonzano, per congedarsi con la Liberazione. La gioia dei giorni del 25 aprile 1945, per “Loris” così come per tanti altri italiani, si affievolì purtroppo molto presto, perchè in un Paese distrutto dalla guerra voluta da Mussolini, il lavoro ed il conseguente sostentamento per la famiglia erano tutt’altro che scontati. Le speranze di un Italia migliore si affievolirono tanto che nel 1952 Andrea dovette emigrare in Belgio dove, trovato un impiego in miniera, lavorò per ben 13 anni. E’ questa la storia di Andrea Benelli, una storia come quella di tanti italiani, al quale non smetteremo mai di tributare la nostra gratitudine, consapevoli che la libertà di tutti noi è stato il frutto straordinario del sacrificio di tante donne e di tanti uomini eccezionali.  Se n’è andato improvvisamente sabato 22 agosto 2009.

Bondi Domenico “Fioravante” (1908-1945)

Nato a Morsiano di Villa Minozzo, l’8 settembre 1943 Domenico Bondi prestava servizio nella Legione carabinieri di Bologna già da 16 anni. Alla fine dello stesso mese di settembre si rese però immediatamente conto che avrebbe dovuto giurare fedeltà alla costituenda Repubblica sociale con a capo Mussolini, così disertò, rifugiandosi a Morsiano, il suo paese natale. Qui entrò in contatto con gli ufficiali antifascisti dell’Arma, Antonio Ganci e Pietro Guarnera, che comandavano la formazione partigiana “Gufo-Spera”. Svolse assidua attività di propaganda sui giovani del posto, incitandoli a non presentarsi ai bandi della Rsi e tantomeno al servizio del lavoro. Si prodigò inoltre a fare opera di convincimento presso i contadini, affinchè si rifiutassero di consegnare i loro prodotti agricoli all’ammasso. Successivamente Bondi prese contatti con i partigiani di “Armando” ed entrò a far parte della 26° Brigata Garibaldi con il nome di battaglia “Fioravante” ed il ruolo di Intendente di Brigata. Partecipò a diversi scontri armati, ma soprattutto mantenne i collegamenti tra le formazioni bolognesi, modenesi e reggiane. Nel corso di una missione venne catturato dai tedeschi il 12 gennaio 1945 a Secchio, torturato per giorni ed infine fucilato a Ciano d’Enza il 26 gennaio 1945. Decorato con la Medaglia d’Oro alla memoria al Valor Militare con questa motivazione: “Dopo l’armistizio, scelta la via dell’onore e del dovere, si distinse per redditizia ed indefessa attività organizzativa ed informativa e per doti di combattente, sicuramente provate in difficili e numerose circostanze. Caduto in mano al nemico rivendicò a viso aperto la sua qualifica di carabiniere e di partigiano. Sottoposto a stringenti e tormentosi interrogatori e lungamente torturato, fu fedele al segreto ed incrollabile nella fierezza della sua fede. Portato davanti al plotone di esecuzione, morì gridando: “Viva l’Italia!” “.
A Domenico Bondi è stata intitolata una via nel suo paese di nascita.

Boniburini Clarice Tina “Nicla” (1922-1997)

Staffetta della 76° Brigata SAP “A.Zanti”, venne errestata il 21 gennaio 1945 dalla Brigata Nera, incarcerata e torturata ai Servi. Subisce torture e sevizie, è scarcerata il 22 aprile 1945. Decorata con la medaglia d’argento al valor militare.

Bonicelli Bruno “Grappino” (1922 – 1945)

Comandante di squadra delle “Fiamme Verdi”, Bonicelli Bruno cadde all’alba della Liberazione, durante l’ultimo combattimento della sua brigata, al momento di entrare in Reggio Emilia liberata.

Così lo ricorda l’amico e compagno di lotta Romolo Fioroni: ” Grappino morì accanto a me, ucciso dai fascisti, alle ore 15 e 15 del 24 aprile nel combattimento di San Pellegrino durato tutto il pomeriggio. Undici mesi trascorsi fianco a fianco non si possono dimenticare, “Grappino” era più di un fratello ed il dolore per la sua morte , proprio nel giorno in cui liberammo l’Italia dal fascismo e dai nazisti, è stato veramente terribile”.
Bonicelli Bruno è stato l’ultimo caduto delle “Fiamme Verdi”, decorato con la Medaglia d’Argento al valor militare alla memoria.

Borghi don Pasquino “Albertario” (1903-1944)

Fu un sacerdote, missionario e partigiano italiano, medaglia d’oro al valor militare alla Resistenza. Figlio di una umile famiglia di mezzadri entrò nel seminario di Marola a 12 anni e proseguì gli studi nel liceo del seminario di Reggio Emilia.

Tra il 1923 e il 1924 prestò servizio militare di leva, terminata la quale sentì la vocazione di diventare missionario e per questo scelse di entrare nell’Istituto Benedetto XV di Venegono Superiore in provincia di Varese, della Congregazione religiosa Comboniana: nel 1929 pronunciò i voti perpetui e venne ordinato sacerdote, nel 1930 partì per la missione comboniana nel Sudan anglo-egiziano.

Rientrato per motivi di salute, nel 1938 entrò nella Certosa di Farneta (Lucca), dove prese i voti di certosino. Nel 1939 tornò alla vita sacerdotale per aiutare la madre, vedova e in povertà. Curato nella parrocchia di Canolo di Correggio (RE), fu nominato parroco di Coriano Tapignola nel agosto del 1943.

Dopo l’8 settembre, iniziò ad accogliere i militari sbandati e sostenne i primi ribelli, incontrandosi anche con i Cervi. Partigiano con il nome di “Albertario”, collaborò attivamente con don Domenico Orlandini, nome di battaglia “don Carlo”, il quale diede vita ad alcune delle formazioni delle Fiamme Verdi, nella zona di Reggio.
Fu arrestato dai fascisti il 21 gennaio 1944 e incarcerato a Villa Minozzo, poi a Reggio Emilia. Su decisione del Capo della provincia, Enzo Savorgnan, fu fucilato, senza processo, il 30 gennaio, insieme ad altri otto antifascisti tra i quali l’anarchico Enrico Zambonini.

Il 7 gennaio 1947 il capo provvisorio della Repubblica italiana, Enrico De Nicola, gli conferì la medaglia d’oro al valor militare alla memoria.

«Animatore ardente dei primi nuclei partigiani, trasfuse in essi il sano entusiasmo che li sostenne nell’azione. La sua casa fu asilo ad evasi da prigionia tedesca e scuola di nuovi combattenti della libertà. Imprigionato dal nemico, sopportò patimenti e sevizie, ma la fede e la pietà tennero chiuse le labbra in un sublime silenzio che risparmiò ai compagni di lotta la sofferenza del carcere e lo strazio della tortura. Affrontò il piombo nemico con la purezza dei martiri e con la fierezza dei forti e sulla soglia della morte la sua parola di fede e di conforto fu di estremo viatico ai compagni nel sacrificio per assurgere nel cielo degli eroi.»