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A B C D E F G H  I L M N  O P Q  R S T U V Z

Terenziani Vincenzo “Luigi” (1925-1945)

Nato a Villa Rivalta (Reggio Emilia) nel 1925, Vincenzo Terenziani Luigi fu giovanissimo partigiano nelle Sap (poi 76a Brigata SAP “Angelo Zanti”), fu comandante di distaccamento e membro del comitato provinciale del Fronte della Gioventù. Catturato dalla polizia fascista, dopo aver sopportato feroci torture, venne fucilato per rappresaglia il 28 gennaio sul ponte del torrente Quaresimo, lungo la via Emilia per Parma. Gli fu conferita la medaglia d’argento al volor militare alla memoria.

Tognoli Vittorio “Marco – Paolo” (1920 – 1945)

Capo Squadra, nato a Scandiano il 24 settembre 1920 e lì residente, arruolato il 20 giugno 1944 nella 77° Brigata SAP. Fucilato a Reggio Emilia dai fascisti il 3 febbraio 1945. Medaglia d’Argento al V.M. alla memoria.

Da una Zona una Resistenza aut. Sereno Folloni: “Il 27 dicembre pattuglie della G.N.R., provenienti da Reggio Emilia, arrestano in piazza a Scandiano, presso il caffè Boiardo, Tognoli Vittorio (Marco), Lorenzelli Ezio e Carabillò Cristoforo (Cris). Altri ricercati alle loro case riescono a non farsi trovare. Questi arresti dimostrano che i fascisti hanno avuto indicazioni sulla resistenza scandianese e su alcuni suoi responsabili. Marco infatti è il capo dell’intendenza di settore per il collegamento con la montagna. Specialmente Tognoli Vittorio era stato per vari mesi un promotore costante ed attivo della resistenza locale, il tramite per il collegamento con le formazioni della montagna, nonché il dirigente locale del Fronte della Gioventù insieme a Lusuardi Sante e Turci Dino. Patriota attivo e coraggioso. Catturato dal nemico perchè accusato di attività partigiana, veniva sottoposto alle più atroci torture. Ma la sua fede non veniva mai meno ed egli sopportava le dure persecuzioni e le sevizie inumane senza tradire il movimento. I fascisti, indignati per il suo tenacissimo ed eroico comportamento, lo trasportarono fuori dal carcere, fucilandolo in un angolo della strada insieme ad altri patrioti. Esempio altissimo di abnegazione, di tenacia, di spirito di sacrificio”.
Dal Diario della 77° Brigata SAP: “Giovane coraggioso e consapevole. Partecipò alla lotta di liberazione come sappista e contemporaneamente come dirigente di zona del Fronte della Gioventù. Arrestato dalla polizia fascista, fu sottoposto a sevizie e torture. Seppe però conservare uno stoico silenzio. Venne fucilato per rappresaglia a Reggio in Via Porta Brennone il 3 febbraio 1945. In seguito a proposta del Comando di Brigata, fu decorato di Medaglia d’Argento al Valor Militare alla Memoria”.

Tosini Oreste (1923-1945)

Oreste Tosini è un ventiduenne partigiano originario di Fornovo di Parma, che vogliamo ricordare perché cadde proprio in terra reggiana, assassinato dalle SS il 9 febbraio 1945. La sera tra il 6 ed il 7 febbraio, a Calerno, una squadra di partigiani aprì il fuoco contro un automezzo tedesco, provocando il ferimento di tre soldati, nessuno dei quali in modo grave.
Come rappresaglia, i tedeschi decisero di fucilare 20 ragazzi, il più vecchio dei quali non aveva ancora 25 anni, tutti provenienti da province differenti e catturati in altre precedenti retate, che non potevano affatto essere i responsabili dell’attacco sulla via Emilia.

L’8 febbraio successivo, all’incirca verso le 9 di sera, i tedeschi li condussero nei pressi di via Cantone, disponendoli 10 per parte ai lati della strada ed infine uccidendoli con raffiche di mitra. Poi spararono addirittura sui corpi che giacevano in terra. Ad un tratto qualcosa si mosse tra i cadaveri: era proprio Oreste Tosini, scampato per puro caso alla morte e benché ferito ad una gamba, si dirige carponi verso un campo vicino, portandosi sotto ad un albero dove perse definitivamente i sensi. Più volte durante la notte, il giovane Tosini invocò aiuto, senza però ricevere alcun soccorso. Verso le 7 del mattino del 9 febbraio, il parroco della frazione don Paderni, avvertito da un contadino, si recò immediatamente sul posto, conducendo il giovane ferito nella sua canonica per prestandogli le prime cure. La notizia dell’accaduto giunse però anche all’orecchio del comandante della GNR di Sant’Ilario d’Enza, il quale mandò un gruppo di militi in canonica, reclamando con minacce la consegna del partigiano. Don Paderni si oppose risolutamente alle minacce dei fascisti, rifiutando di lasciarlo nelle loro mani; quindi partì per Reggio, dove cercò intercessione presso il maggiore Fraser, comandante della Piazza. L’ufficiale diede la sua parola affinché venga liberato Oreste Tosini. Nel frattempo anche il colonnello nazista Dolmann venne informato del fatto e senza perder tempo, inviò cinque SS a Calerno, dove sequestrarono il giovane ferito, caricandolo su di un automezzo scoperto, partendo poi in direzione della città.

Alle ore 18 del 9 febbraio 1945, un contadino di Sesso, trovandosi a passare nei pressi del ponte sul Crostolo tra Roncocesi e Cadelbosco, vide la macchina fermarsi proprio sul ponte, dalla quale scesero due SS che trascinarono il povero Oreste Tosini accanto al parapetto.
Lo uccisero a colpi di pistola sparati al capo, gettando il corpo nel torrente Crostolo. Il cadavere di Tosini venne ritrovato soltanto due mesi più tardi, incagliato nella “chiusa” di Cadelbosco. Ed ancora oggi, tra quanti erano bambini a quel tempo, c’è chi ricorda il passaggio lungo la via principale di Roncocesi del giovane partigiano condotto alla morte e fucilato due volte.

Turci Dino “Ercole – Scheggia” (1924 – 1945)

Capo Squadra, nato il 26/02/1924 a Carpi di Modena, residente a Correggio in Piazza Garibaaldi 10. Arruolato il 23 ottobre 1943 nella 37° Brigata GAP. Fucilato a Reggio Emilia dai fascisti il 3 febbraio 1945.

Fu dirigente del Fronte della Gioventù unitamente a Tognoli Vittorio e a Lusuardi Sante.
Di provenienza operaia, fervente antifascista, non esitò a mettere a disposizione della patria la sua giovane vita. L’8 settembre 1943 fu la piattaforma di lancio per organizzare i giovani nel movimento partigiano.

Siamo proprio nel periodo in cui il terrore nazifascista incomincia a manifestarsi in tutta la sua durezza, il nemico è armato fino ai denti non solo per combattere gli alleati al fronte, ma per reprimere ogni atto di insubordinazione alle leggi fasciste. I bandi si susseguono alle rappresaglie, ma la fede incrollabile di “Scheggia” non cede. Armato di rivoltella a tamburo, affronta individualmente il nemico procurando in tal modo armi e munizioni per gli organizzati nel Movimento Clandestino. Molti giovani vengono da lui inviati in montagna e molti altri lo seguono nelle sue gloriose gesta di ribelle. Procurava viveri e vestiario ai compagni della montagna, manteneva il collegamento tra i vari comandi partigiani, organizzava il sabotaggio: il taglio dei pali delle linee telefoniche e telegrafiche, il deragliamento di un treno ecc.
Svolge attività propagandistica, è tra i primi GAP della pianura, che attraverso azioni armate, fanno sentire il proprio peso ai nazifascisti portando un certo scombussolamento e disgregamento nelle file nemiche. Disarma parecchi fascisti e non esita a prendere misure coercitive contro tutti coloro che danneggiano il Movimento Partigiano. Viene però individuato ed arrestato il 16 novembre 1944 per opera di una spia e condotto alle prigioni dei Servi a Reggio Emilia. Subisce le più orrende e inumane torture tanto da strappargli “il bene della ragione” facendolo impazzire, viene trucidato il 3 febbraio 1945 assieme ad altri tre compagni in Via Porta Brennone. La sua salma giace ora nel cimitero di Canolo nella cappella dei gloriosi caduti per la Libertà.