Intervento di ALDO TORTORELLA il 7 luglio a Reggio Emilia

Lug 17, 2018

Noi celebriamo oggi il sacrificio dei caduti di Reggio Emilia del 7 Luglio del 1960. Dobbiamo farlo certamente per essere vicini ai familiari per cui la perdita non cessa di dolere. Ma credo che sia giusto chiedere a noi stessi se noi stiamo svolgendo solo un rito privato ricordando la tragedia di un tempo perduto e dimenticato per sempre. Di quel 7 luglio non ci sono quasi più testimoni se non i vecchi come me che allora dirigevo l’Unità di Milano e mi precipitai qui a Reggio in quel pomeriggio d’angoscia per scrivere della strage. Ho visto che la Camera del Lavoro ha voluto ristampare la mia testimonianza e ho rivissuto la stessa angoscia di allora quando mi portarono all’ospedale a salutare i caduti e c’erano ancora le grida di Tondelli che fu l’ultimo a morire. Inermi assassinati, mirati come in un tiro al bersaglio, mi dicevano tutti. E nessuno, poi, verrà condannato per quella strage. Ma ci sono molti che dicono – e forse molti di più lo pensano senza dirlo – che non ha senso riaprire quelle vecchie ferite dopo tanto tempo, ora che di quella realtà di allora non c’è più niente. Qui da noi sono scomparsi tutti i vecchi partiti e anche una parte di quelli nuovi, l’Italia, l’Europa, il mondo sono radicalmente cambiati nei mezzi di produzione e di comunicazione, nei costumi e nelle culture, vecchie potenze sono cadute e altre sono sorte.

Ma invece io credo che abbia un gran significato ricordare la rivolta soprattutto giovanile contro la costruzione di un governo che si reggeva sul voto dei neofascisti, eredi dichiarati di coloro che avevano portato il paese in guerra al servizio della Germania nazista, una guerra di aggressione e dunque in se assurda e criminale e finita poi in una totale sconfitta, più di cinquecentomila caduti solo in Italia, il paese distrutto, il popolo alla miseria e alla fame e un pugno di pescicani arricchiti. Una guerra costata il genocidio degli ebrei e del popolo rom, la carneficina di 70 milioni di morti, 23 milioni solo in Russia, cifre impossibili da immaginare. E ci sono ancora oggi taluni che propagandano le idee fasciste e naziste . Lasciarli fare la loro opera infame proibita dalla Costituzione non è solo una vergogna, è un pericolo grave, come vediamo. Sono loro i primi a diffondere lo sciovinismo cioè il nazionalismo ostile a tutti gli altri, l’odio alla democrazia, il razzismo.

Il tempo cancella tutto, si dice. Ma il tempo da solo non capovolge la memoria. C’è stata una campagna sistematica di contraffazione della verità. Incominciata da anni contro la Resistenza, prima con la svalutazione e poi con la diffamazione. Una ricerca dell’ANPI ha contato in Internet più di 2000 siti apertamente fascisti che insultano la Resistenza, diffamano la Repubblica democratica, fanno proseliti con le loro menzogne. I più ignorano che i tribunali della repubblica composti per lungo tempo, dopo la liberazione, da magistrati entrati in carriera sotto i fascisti hanno comminato in processi a partigiani un numero di anni di galera superiore a quello dei tribunali speciali dei fascisti contro gli antifascisti. L’amnistia fu applicata ai fascisti ma quasi mai ai partigiani. Ed è successo che tanti innocenti come il vostro, il nostro Germano Nicolini hanno passato la giovinezza in galera condannati per colpe mai commesse com’era evidente subito ma sarà riconosciuto solo più di dieci anni dopo o per episodi di guerra come Moranino. Poi è venuto il tempo in cui in nome della pacificazione si è detto che sono uguali tutti i caduti nella lotta di liberazione da una parte e da quella opposta perché tutti sono caduti per il loro ideale. Ma questa non era pacificazione ma rovesciamento della verità storica a fini evidenti. Certo tutti i morti meritano eguale pietà, ma non sono eguali i motivi per cui sono caduti . C’è chi è morto per conquistare la libertà e chi è morto per confermare la tirannide.

La lotta non finì con la Liberazione. Appena varata la Costituzione, che fonda sul lavoro la Repubblica democratica, incominciò l’attacco per smantellarla e, quindi, la lotta per difenderla. E proprio per difendere la libertà e la Costituzione ci fu la discesa in campo di tanti giovani a fianco dei partigiani e dei lavoratori in quell’estate del 1960 a Genova prima e poi in tutta Italia. I portuali e gli operai di Genova spontaneamente erano scesi in strada contro l’annuncio del congresso dei neofascisti indetto per sfregio in un teatro di fronte al sacrario dei partigiani , un congresso che avrebbe dovuto essere presieduto dal prefetto repubblichino di Genova Basile, detto il boia, colpevole dell’assassinio per rappresaglia di tanti antifascisti detenuti e della deportazione nei lager tedeschi di migliaia di operai dell’Ansaldo. Come risposta alla protesta popolare, il governo autorizzò le forze dell’ordine a sparare in caso di emergenza. Ma non c’era nessuna emergenza ad Agrigento dove ci fu il 6 luglio il primo caduto sotto il fuoco di Stato e meno che mai c’era emergenza a Reggio il giorno dopo. C’era la grande manifestazione pacifica indetta dalla Camera del lavoro, un teatro che non conteneva i manifestanti , i canti partigiani davanti al monumento ai caduti partigiani la carica improvvisa e ingiustificata di un reparto di polizia allora tristemente famoso. E sono rimaste le prove fotografiche di poliziotti, molti dei quali venivano dalle file fasciste, che prendono la mira contro i manifestanti inermi.

Ricordare, dunque, è certo un dovere verso i caduti. Farioli, Franchi, Reverberi, Serri, Tondelli erano andati ad una manifestazione pacifica, non volevano fare gli eroi, volevano fare solo quello che ritenevano un dovere civico e un obbligo morale ma proprio per questa loro coscienza inerme pagata con la vita vanno iscritti tra i martiri della libertà e della democrazia. Ricordare, però è anche una necessità dell’oggi. Fino all’ultimo referendum di un anno e mezzo fa, che ripeteva quello di pochi anni prima, è stato necessario lottare, e la CGIL ha lottato, per evitare lo stravolgimento autoritario della costituzione, ma la battaglia è ben lontana dall’essere conclusa.

La predicazione contro la democrazia rappresentativa è iniziata da quando è nata nell’età antica ed è rinata nell’età moderna ma non è mai finita. Certo, la democrazia rappresentativa pone molti problemi anzi, come disse quel conservatore di Churchill, è il sistema peggiore a parte tutti gli altri che sono ancora peggio. Per questo fu detto che la democrazia è un valore universale da un uomo e un politico indimenticabile come è stato Enrico Berlinguer. Ma è un valore fragile esposto alle insidie dei padroni del vapore che non si fanno scrupolo di limitarlo sino ad affossarlo quando pensano che li può danneggiare. Fascismo e nazismo non furono l’opera di due demagoghi ma delle cassi dominanti del tempo, che promossero la dottrina dell’uomo forte, finendo con l’esserne dominati o con l’esserne distrutti come accadde a certuni della grande borghesia ebraica che non avevano capito cosa fosse il nazismo e il fascismo.

La demagogia vince quando ci sono cattivi governi che non sono capaci di intendere i bisogni popolari, come insegnava già il filosofo 2500 anni fa. Ma la demagogia è sempre stata, come la storia dimostra, uno strumento per dirottare verso falsi obiettivi il disagio o la sofferenza popolare in modo da lasciare intatte le gerarchie sociali. La democrazia vive di confronto, di rispetto reciproco, di discussione sui rimedi migliori. Quando inizia la semina della paura, dell’odio per il diverso, del disprezzo della vita di chi non è come noi, allora il pericolo cresce. Ricordiamoci del sermone di quel pastore luterano tedesco che ispirò Brecht : “prima vennero a prendere gli zingari e non dissi nulla perchè rubacchiavano…..” e poi presero gli ebrei, e poi gli omosessuali e poi i comunisti e c’era sempre un motivo per tacere finchè non presero lui , come accadde veramente, e , allora, “non c’era più nessuno che protestasse”. Quante poche voci di indignazione si sono levate per le ultime stragi di centinaia di persone nel mare davanti alla Libia.

Ma siamo noi gente bianca che con i nostri antenati andammo a depredare l’Africa, a uccidere con i gas asfissianti, a torturare, a impiccare e che oggi manteniamo al potere con il neo colonialismo, come quello francese, governanti corrotti e tirannici o generiamo nuove guerre come in Libia e in Siria, per poi lamentarci degli esodi biblici. L’Europa, comprese le forze che si ritengono progressiste, ben prima degli sbarchi dei migranti, è stata sorda e cieca dinnanzi alla disperazione e alla tragedia di popoli interi che dovevamo aiutare con uno sforzo collettivo a risanarsi a risorgere anziché sfruttarli vergognosamente per le materie prime.

Non illudiamoci. In tutto questo andare a destra del mondo, nella ripresa degli egoismi nazionali, delle chiusure in se stessi, della ripresa delle guerre sui dazi, la posta in gioco è sempre la stessa. Il miliardario Trump ha ottenuto il voto di masse diseredate, trascurate da chi avrebbe dovuto difenderle e ha conquistato il potere per conservare e aumentare i soldi suoi e della sua classe. La lotta di classe non è l’invenzione di un barbone dell’800 ma un dato della realtà e se coloro che dovrebbero difendere i lavoratori, i precari, gli sfruttati, gli ultimi, si girano dall’altra parte per non vedere, qualche altro leggerà il loro disagio e lo utilizzerà per il comodo suo. Come sempre le chiusure nazionaliste servono a impedire il riconoscimento della comunanza di interessi tra i lavoratori di tutto il mondo per continuare a dominarli, fino a trascinarli a spararsi addosso gli uni contro gli altri.

I martiri di Reggio ci dicono anche questo. Due giovani, tre partigiani, tutti cinque operai. Persero la vita, ma vinsero. Il governo con i fascisti cadde. La costituzione antifascista fu salvata. Seguì un tempo di grandi conquiste di diritti sociali e civili. E’ tutto questo che è stato sotto attacco a partire dalla svolta conservatrice degli anni ottanta in America e in Inghilterra. Tante forze che avevano il dovere di resistere hanno gravemente ceduto. Non ha ceduto il sindacato, non ha ceduto la CGIL, non ha ceduto l’ANPI e tante altre organizzazioni e tante persone pur diverse per appartenenze. Il mondo è nuovo, nuovi sono i metodi e i mezzi della produzione, nuovi sono molti lavori ma non è mutata la pressione sui lavoratori, il ricatto, lo sfruttamento. Un economista di successo ha detto che Marx è attuale perchè nel mondo nuovo i rapporti sociali sono tornati ad essere simili a quelli dell’800. Ritengo che non sia attuale e studiato solo per questo. Ma è vero che il regresso è stato pauroso. Nuove strade bisognava e bisogna percorrere per difendere la democrazia e il lavoro, ma senza dimenticare quanto ci fu di utile e giusto nelle lotte e nei sacrifici del passato. Il modo migliore di onorare i nostri compagni caduti è di essere fedeli al loro insegnamento perché non insegnano solo i professori. Andarono in piazza per il dovere di stare dalla parte della libertà, della democrazia, del popolo lavoratore. E’ questo dovere che non bisogna mai smarrire.

 

 

 

 

 

 

 

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